22/2000
Il volume monografico della rivista "Chiasmi International", n. 1, 1999, a cura di Mauro Carbone, intitolato Merleau-Ponty: L'héritage contemporain - The contemporary heritage - L'eredità contemporanea, è il primo numero della nuova serie trilingue della rivista "Chiasmi", nota al lettore dal 1997 con due pubblicazioni per la cura della Società italiana di studi su Maurice Merleau-Ponty, e comprende principalmente gli atti di un Convegno Internazionale sul medesimo tema svoltosi tra Milano e Gargnano del Garda dal 12 al 14 marzo del 1998. "Chiasmi
International" intende rispondere in maniera ancora più adeguata alla
oramai diffusa esigenza, non solo del pubblico italiano, di riscoprire
il pensiero assai ricco e sfaccettato di Merleau-Ponty, che pur
rimanendo per certi versi inquadrabile entro le coordinate del movimento
fenomenologico di matrice husserliana si distingue da quest'ultima,
oltre che per un'indiscutibile ispirazione ontologica, per la
capacità di esplorare gli ambiti più disparati del sapere del suo
tempo, mostrando lo stesso interesse per le scienze umane e per quelle
naturali, per le arti visive e per la letteratura. Risulta,
dunque, perfettamente comprensibile la scelta di dedicare il volume in
questione all'eredità contemporanea del pensatore francese, la cui
prematura scomparsa - insieme al protagonismo intellettuale di Sartre,
all'ascesa dell'heideggerismo e delle correnti ermeneutiche - non
ha impedito feconde contaminazioni e suggestive riprese nei campi della
fenomenologia, dell'estetica e dell'epistemologia più recenti,
sebbene abbia costretto la portata innovativa della sua proposta
filosofica ad una sopravvivenza "clandestina". Nella
direzione di un recupero dei principali aspetti di novità del discorso
merleau-pontiano, oltre che delle possibili prospettive da esso
dischiuse, chiedono di essere letti molti dei saggi contenuti nella
seconda parte del volume, mentre la prima assolve ad un compito di
carattere compilativo illustrando lo stato attuale delle ricerche sul
pensiero di Merleau-Ponty e
la storia della ricezione della sua opera, non solo in Italia ed in
Francia, ma anche in Messico e in Argentina, negli Stati Uniti dove ha
agito da stimolo al dibattito - interno soprattutto al cognitivismo e
alla filosofia della mente - sul tradizionale mind
body problem, ed infine in Giappone, la cui indagine attuale
appare orientata ad approfondire la relazione di fondazione reciproca
tra l'ordine percettivo della Natura "selvaggia" e quello
simbolico dei significati istituiti. Il saggio di
B. Waldenfels, il primo dei contributi proposti nella seconda parte del
volume, getta una luce sull'eccentricità della posizione
merleau-pontiana rispetto al panorama filosofico contemporaneo,
essenzialmente diviso tra l'impostazione analitica e quella
ermeneutica eppure concorde nell'assegnare alla funzione linguistica
un ruolo primario nella formazione dei vissuti d'esperienza e nelle
pratiche di conoscenza. Merleau-Ponty sembra suggerire che il modo più
appropriato per raccogliere la sfida lanciata dalla fenomenologia di
Husserl col motto Zu
den Sachen selbst! sia quello di sottrarre la filosofia alle
due posizioni - ugualmente insoddisfacenti - del fondazionalismo,
per cui il linguaggio si limita a rispecchiare il mondo della percezione
immediata fornendo rappresentazioni adeguate di esso, e del
costruttivismo, per cui non si dà un'esperienza anteriore alle nostre
operazioni di simbolizzazione ed il mondo è prodotto dagli atti
interpretativi con cui lo comprendiamo. La "terza via" inaugurata da
Merleau-Ponty, da un lato, ridimensiona le pretese della filosofia che
"non può essere presa totale e attiva, possesso intellettuale",
dall'altro la invita ad una maggiore prossimità all'esperienza,
conseguibile solo attraverso un paziente lavoro di parola e di visione:
"ciò
che essa dice, i suoi significati,
non sono un invisibile assoluto: essa fa vedere con le parole". In
altri termini, l'esperienza preriflessiva - coincidente soprattutto
con il mondo "muto" della percezione visiva - offre un primo
strato di senso sul quale si incardina l'articolazione linguistica, ma
esige una "ripresa creativa" da parte di quest'ultima per far
giungere ad espressione - secondo stili di configurazione sempre nuovi
- ciò che le cose nel silenzio originario della loro visibilità
vogliono dire. La questione
ontologica, sollevata da Merleau-Ponty in modo più esplicito nelle
ultime opere, costituisce il tema privilegiato degli interventi di D.
Calabrò, che conduce un'attenta disamina di alcuni inediti
consultabili solo da qualche anno, e di R. Barbaras, interessato a
cogliere i principali momenti concettuali della "cosmologia del
visibile" indicata dal filosofo francese come l'esito delle sue
ricerche. La Calabrò mostra in modo ben documentato come il tentativo
merleau-pontiano di recuperare l'Être
brut, al di fuori del dualismo metafisico occidentale che lo
riduce a Grande Oggetto di uno Spettatore Assoluto, approdi ad un'interrogazione
della Natura volta a cogliere la sua membratura interna e le modalità
prepersonali della sua offerenza originaria, in base a cui "l'Offenheit dell'Umwelt
e l'apertura del percipiente sono la stessa cosa". A livello dell'esperienza
grezza, gli oggetti non si danno come sostanze positive ma come "modulazioni
dell'esistenza totale", come inflessioni dello spazio e del tempo
che sono meno delle funzioni di localizzazione e più degli "ambiti di
individuazione", all'interno di un essere di avvolgimento in cui gli
enti si ineriscono lateralmente, il passato sopravanza nel futuro, il
possibile è implicato nell'attuale. Proprio la determinazione dell'Essere
come virtualità - è la tesi di Barbaras - permette a Merleau-Ponty
di spingere la fenomenologia verso i suoi limiti e di superare l'impossibilità
eidetica che, secondo Husserl, confina la coscienza ed il mondo in due
regioni ontologiche distinte, indicando nella prima il luogo di
costituzione trascendentale del secondo. La riduzione praticata da
Husserl, in base alla quale si sospende l'atteggiamento naturale e si
accedere al fenomeno
solo dopo aver messo tra parentesi il suo valore d'esistenza,
istituisce una polarità assoluta tra la soggettività pura delle Sinngebungen e la realtà
trascendente del mondo, presupponendo che la prima sia un nulla
totalmente estraneo ad essa, e la seconda un essere in sé compatto che
un osservatore onniprospettico dispiega come una cosa. La "cosmologia
del visibile" invece - tentando di avvicinare l'Essere per come si
dà, e non secondo il pregiudizio dell'oggetto totalmente
determinabile - coglie il modo specifico della sua manifestazione nel presentarsi
a distanza, rendendo conto ad un tempo della soggettività
dell'esperienza, che vieta la coincidenza con l'oggetto percepito, e
della negatività costitutiva dell'apparire, per cui ciò che è
presente, prossimo e visibile è identicamente trascendente, lontano ed
invisibile. Anche secondo Barbaras, la Natura rappresenta il punto di
arrivo della meditazione ontologica merleau-pontiana: in essa coscienza
e mondo sono momenti - astratti e derivati - di uno stesso "essere
di indivisione" e ciò che è reale
non è la mera esecuzione a posteriori di un possibile dato a priori, ma
piuttosto l'attualizzazione
di un virtuale che si produce per differenziazione di enti ed
esperienze determinati, ovvero come a priori dell'a posteriori,
identità nella variazione, sviluppo divergente dello stesso. L'intervento
di E. Lisciani-Petrini, inserendosi nella linea dei due sopra
menzionati, trae le conseguenze della diagnosi ontologica appena
tracciata per la riflessione filosofica: se l'essere, infatti, non è
"un insieme oggettivo organizzato sinteticamente" da una coscienza
trascendentale ed il mondo è tutt'uno con l'evento del suo darsi, l'attività
riflessiva scopre la propria origine irriflessa in un "c'è" che patisce,
configurandosi come una presa di possesso intellettuale del mondo che
non può uscire da esso, ma a cui deve anzi rimettersi come al suo
orizzonte di possibilità. I contributi
di M. Carbone e di N. Grillo, da un lato, e quello di E. Franzini, dall'altro,
hanno il pregio di riannodare i fili della meditazione di Merleau-Ponty
alla letteratura e alla pittura - suoi ambiti di riferimento
privilegiati - restando in ciò fedeli alla sua definizione "allargata"
di fenomenologia, considerata più come un "movimento" che come una
"dottrina o un sistema" ed anzi accomunata alle attività estetiche:
"essa è laboriosa come l'opera di Balzac, quella di Proust, quella
di Valéry o quella di Cézanne - per lo stesso genere di attenzione e
di stupore, per la stessa esigenza di coscienza, per la stessa volontà
di cogliere il senso del mondo o della storia allo stato nascente". Il
saggio di Carbone mira a ricostruire l'influenza esercitata dalla
lettura della Recherche
sull'elaborazione della teoria delle idee
sensibili: con essa Merleau-Ponty rivoluzionava l'impostazione
husserliana del rapporto tra essenze e fatti che coglie nelle prime le
condizioni di possibilità dei secondi e concepisce le une come "significati
senza località né temporalità" e gli altri come "molteplicità
degli atomi spazio-temporali". L'idea sensibile si definisce come l'instaurazione
di una dimensione generale dell'essere a partire dagli esemplari
singoli in cui occorre, ovvero - quasi preconizzando il Deleuze di Différence et répétition
- come l'iniziazione (empirica) ad una modalità (trascendentale)
dell'esperienza. In altre parole, le idee in questione non preesistono
al sensibile come suo a priori costitutivo né gli succedono come sua
generalizzazione induttiva, ma ne sono "il risvolto e la profondità"
e - al pari per Proust "della letteratura, della musica, del mondo
visibile, delle passioni, della luce, del suono e del tatto" -
dispiegano se stesse mentre si incarnano nell'essere sensibile,
rendendosi così concepibili appunto come idee,
e cioè come condizioni della propria ripresentazione e del proprio
riconoscimento in esso. Le idee, infine, sono rivelatrici di un tempo
"mitico" in quanto si instaurano come "un livello in rapporto al
quale, ormai, ogni altra esperienza sarà riferita" e la cui efficacia
durerà per sempre: distendendosi "fra
il mio passato ed il mio presente" esse alludono ad una coesione
simultanea dell'originario e del successivo, per cui una singola
esperienza nel tempo è anche anticipazione di tutte le sue possibili
riprese, ossia della sua "eternità esistenziale". L'opera di
Valéry fornisce alla Grillo l'occasione di un confronto tra
Merleau-Ponty e Derrida che - pur nell'inconciliabilità dei
rispettivi assunti di partenza - si riconoscono come suoi eredi nella
critica alla nozione di soggetto, inteso come presenza a sé, ed allo
statuto del senso, concepito come un contenuto intenzionale presupposto
al gioco dei significanti. La contestazione mossa da Valéry all'idea
di un autore del testo converge con l'attacco sferrato da
Merleau-Ponty al principio fenomenologico della coscienza costituente,
denunciati entrambi come finzioni
costruite retrospettivamente dal lettore o dal filosofo per legittimare
la loro esigenza di un fondamento. La riflessione sulla soggettività
condotta da Valéry, in base alla quale la coscienza non arriva ad
autoappartenersi in un pensiero adeguato e la vita interiore dell'io
si costituisce secondo la "binità" propria della forma dialogata,
si ripropone nella descrizione merleau-pontiana del soggetto corporeo
definito come "lacuna", "essere a due fogli", sguardo su di sé
incapace di vedersi in quanto si origina in un punto cieco che rimane
inafferrabile. L'appassionato
contributo di E. Franzini - il solo a prendere il partito del "visibile"
di cui, seguendo l'invito merleau-pontiano, discute alcuni aspetti
filosoficamente rilevanti - si propone di evidenziare il carattere di evento proprio delle immagini
e delle rappresentazioni pittoriche che, con la loro apparizione nel
nostro spazio intuitivo, non solo lo "rigenerano" modificando così
gli schemi temporali della nostra intuizione, ma anche ci spingono a
voler afferrare l'invisibile universo di senso a cui alludono senza
poterne eliminare l'inesauribile ulteriorità. Se, per Merleau-Ponty,
l'arte pittorica ha il compito di rendere visibile "l'Essere muto
che viene, egli stesso, a manifestare il suo significato" invisibile
all'interno di un circuito ontologico che non conosce rottura grazie
alla mediazione sintetica del Leib,
per Deleuze - ormai lontano da qualsiasi descrittivismo fenomenologico
- essa ci mette in presenza di "Figure", e cioè di "forme
sensibili riferite alla sensazione" non inquadrabili nei termini di un
oggetto intenzionale o di un noema, ma percepibili come l'accadere
simultaneo ed accidentale di molteplici piani, forze pulsionali, livelli
di intensità. La semantica figurale prospettata da Deleuze, rifiutando
il principio della "sintesi corporea" e l'idea di un comporsi
organico delle sensazioni in "dati visivi", recupera il lato "perturbante"
dell'immagine pittorica che, nella sua irriducibile opacità
motivazionale e nella sua intrinseca "assenza di unità", si profila
come "diagramma operativo" attraversato da ritmi carnali e da
frammenti di significazione, come esibizione simbolica dell'invisibile. |
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