22/2000 Elisabetta Di Stefano
Leon
Battista Alberti, definito da Cristoforo Landino "camaleonte" per la
sua capacità di eccellere in ogni disciplina, non ha mai cessato di
suscitare l'interesse di italianisti, architetti e storici dell'arte.
Nel Novecento due eventi, in particolare, hanno risvegliato il dibattito
degli studiosi: il centenario della morte, celebrato nel 1972, e le
iniziative che, a partire dalla mostra mantovana organizzata a Palazzo
Te nel 1994 (catalogo a cura di J. Rykwert e A. Engel, Leon
Battista Alberti,
Milano, Electa, 1994), hanno avviato un processo di
attualizzazione e di revisione degli studi albertiani. Da allora,
infatti, è stato un continuo proliferare di incontri e convegni,
promossi da vari Centri che hanno orientato su Alberti alcune delle loro
attività: il Centro
di Studi sul Classicismo di San Gimignano ha messo a punto un
progetto di edizione critica e commento di tutti gli scritti albertiani;
ad un'impresa analoga mira la Société Internationale Leon Battista Alberti di Parigi, che
cura la rivista Albertiana (edita da Leo Olschki); il Centro Studi Leon Battista Alberti
di Mantova promuove annualmente giornate di studio dedicate all'umanista
e alla cultura rinascimentale. In uno di
questi incontri, e precisamente durante il convegno su Leon
Battista Alberti e il Quattrocento (Mantova, 29-31 ottobre
1998), è stato presentato il volume di Cecil Grayson, Studi
su Leon Battista Alberti, a cura di Paola Claut, Firenze,
Olschki, 1998, che raccoglie gran parte dei saggi dedicati dal filologo
inglese all'umanista. Per l'occasione era atteso l'autore, al
quale la città di Mantova avrebbe conferito la cittadinanza onoraria.
Purtroppo la sua repentina scomparsa ha impedito a Grayson di vedere il
definitivo approdo editoriale del volume, di cui aveva curato la cernita
degli scritti e steso l'introduzione. "La
motivazione principale della raccolta", afferma l'autore nell'introduzione,
"è di ordine pratico, cioè di rendere più accessibili cose sparse
attraverso gli anni in riviste varie o in libri e atti esauriti o
difficilmente reperibili" (p. 1). Gli scritti compaiono, in ordine
cronologico, nelle lingue originali, senza alcun aggiornamento neppure
bibliografico, per il desiderio dell'autore di conservarne il
carattere storico. Si tratta di saggi elaborati nell'arco di oltre
cinquant'anni, attraverso i quali si può ricostruire l'"itinerario
albertiano" di Grayson, dagli iniziali problemi linguistici e testuali
alle più mature considerazioni sulle opere latine. Nel dopoguerra gli
studi su Leon Battista Alberti si trovavano in uno stato più arretrato
rispetto a quelli di cui erano oggetto altri esponenti della cultura
italiana dell'Umanesimo e, soprattutto, "il culto delle edizioni
critiche in generale e dei testi volgari del Quattrocento in particolare
non contava molti fedeli" (p. 2). Cecil Grayson, su suggerimento di
Carlo Dionisotti, intraprese un lavoro filologico sugli scritti
albertiani che trovò significativa espressione nei fondamentali volumi
delle Opere volgari, pubblicati nella collana degli "Scrittori d'Italia"
(Bari, Laterza, 3 voll., 1960, 1966, 1973). Attraverso ricerche di
codici e libri in Inghilterra, in Italia e in varie parti del mondo,
Grayson portò alla luce l'opuscolo sconosciuto Villa,
un ritratto probabilmente autografo di Alberti, l'egloga Tyrsis,
la Lettera a Matteo de' Pasti.
L'attento lavoro filologico è puntualmente documentato nei saggi
raccolti nel presente volume che comprende anche alcuni testi, già
editi, come il Canis,
il De
iure, il De
statua e la Lettera a Matteo de' Pasti,
ma non facilmente rintracciabili nelle biblioteche. Particolarmente
degna di nota è la ripubblicazione del De
statua, accompagnato dalle note e dall'introduzione. Questo
trattato ha avuto una storia molto controversa già a partire dalla
datazione che alcuni pongono intorno al 1430 e altri intorno al 1460.
Per parecchio tempo lo scritto fu letto nella versione volgare di Cosimo
Bartoli (Opuscoli
morali, Venezia, 1568), a lungo creduta opera dello stesso
Alberti, mentre il testo latino (con traduzione in tedesco) fu
pubblicato, per la prima volta, solo nel 1877 da Hubert Janitschek (L.
B. Albertis
kleinere kunsttheoretische Schriften,
Wien, Braumüller, 1877). Rispetto a questa, l'edizione curata da
Cecil Grayson (On
painting. On sculpture, London, Phaidon, 1972, con traduzione
inglese a fronte sia del trattato sulla pittura sia di quello sulla
scultura) è sicuramente filologicamente più corretta e più completa.
Tuttavia a differenza del De
pictura, pubblicato successivamente, dallo stesso Grayson,
anche in Italia con Laterza, in un'edizione comprensiva sia del testo
latino che di quello volgare (1973, riedito nel 1975 e nel 1980), il De statua non aveva goduto di
altre edizioni. Pertanto la presenza di questo scritto in un volume
recente e facilmente accessibile è sicuramente di grande importanza.
Ciò è confermato dal fatto che proprio questo testo è stato oggetto
ultimamente di grande attenzione da parte degli studiosi che, sulla
scorta dell'edizione critica di Grayson, ne hanno effettuato moderne
traduzioni (a cura di M. Collareta, Padova, Liviana, 1998 e a cura di M.
Spinetti, Napoli, Liguori, 1999). Dato il
generale interesse della comunità scientifica internazionale e la
vivacità del dibattito che anima i convegni dedicati ad Alberti, ancor
più spiace il ritardo editoriale che grava sulle pubblicazioni degli
atti. Soltanto ora, infatti, dopo anni travagliati, escono i lavori del
convegno internazionale, tenutosi a Mantova dal 16 al 19 Novembre 1994: Leon Battista Alberti. Architettura e cultura, Firenze,
Olschki, 1999. Il sottotitolo
del volume indica le due sezioni in cui si è articolato il convegno. Si
tratta di una divisione dovuta più a ragioni di funzionalità che ad
una effettiva scissione tra i due campi di sapere, infatti, più volte
nel testo viene ribadita l'unitarietà della formazione culturale
albertiana, pur nella poliedricità delle sue manifestazioni. La prima
sezione prende in esame l'attuale stato degli studi e delle ricerche
in ambito architettonico (A. Bruschi; Ch. Thoenes) e, al contempo,
riconsidera il legame di Alberti con l'Antico (M. Trachtenberg),
legame che va inteso non come passiva imitazione, ma come revisione
critica e attualizzazione delle fonti. In questa linea viene esaminato
il rapporto Alberti-Vitruvio (H. Günther): una verifica sugli scritti
di alcuni umanisti (da Francesco Colonna a Flavio Biondo, da Giovanni
Tortelli a Niccolò Perotti) che hanno affrontato, benché in forme e
modi diversi, argomenti di carattere antiquario e architettonico, mostra
come il De
architectura fosse una lettura difficile e poco praticata nel
Quattrocento, e conferma la necessità della rielaborazione operata da
Alberti. Altri contributi fanno luce sui rapporti tra Alberti e gli
artisti contemporanei: viene esaminata l'influenza delle idee
albertiane sugli edifici sia realizzati sia rappresentati, ci si
sofferma sulle differenze di stile tra Donatello e Brunelleschi (A.
Tönnesmann), e vengono affrontati argomenti più tecnici relativi ai
progetti architettonici. La seconda
sezione si sviluppa lungo vari percorsi disciplinari: dagli interventi
di carattere linguistico (M. Martelli; I Bonomi) a quelli che affrontano
più generali questioni ideologiche e filosofiche (A. Tenenti; C. Vasoli),
da quelli storico-artistici (M. Scalzo; R. Signorini; A. Parronchi) a
quelli di natura teorica. Alessandro Parronchi torna a confermare,
attraverso nuovi riferimenti, la sua vecchia ipotesi (Studi
sulla "dolce prospettiva", Milano, Martelli, 1964) che le
due "Tavole Barberini" siano opera di Alberti; ma si tratta di una
proposta interpretativa che non trova gli studiosi concordi. Pertanto,
in assenza di documenti certi, ogni tentativo di ricostituire il regesto
pittorico albertiano rimane vano. Passando dall'ambito
storico-artistico a quello teorico-filosofico si segnalano alcuni
interventi che affrontano concetti significativi dell'estetica di
Alberti. Claudia Cieri Via, secondo una prospettiva iconologica, mette
in rapporto le nozioni albertiane di ornamentum e varietas
con la produzione artistica coeva. Contrapponendosi alla
linea interpretativa introdotta da R. Wittkower (Principi
architettonici nell'età dell'Umanesimo, Torino, Einaudi,
1964) e accreditata da molti studiosi, Luisa Zanoncelli propone una
rilettura del rapporto musica-matematica nel De
re aedificatoria: la struttura armonica che sottende la
teoria di Alberti non è riconducibile alla filosofia pitagorica, ma è
legata a principi immanenti alla natura come, per esempio, la tendenza
alla perfezione. La prospettiva naturalistica del pensiero albertiano è
oggetto di altri due lavori: Patrizia Castelli analizza il concetto di
"moto" nei trattati sulle arti, ripercorrendo la storia di questa
nozione attraverso le fonti antiche (la Fisica
di Aristotele; gli studi di fisiognomica), la tradizione medievale e i
rapporti di Alberti con i matematici e i medici a lui contemporanei; a
questo stesso retroterra culturale si ricollega Graziella Federici
Vescovini per mettere in luce, nel suo esame del vocabolario scientifico
del De
pictura, l'ideale estetico "naturalistico" che sottende
il trattato. La stessa nozione di concinnitas,
come bellezza armonica, risente di suggestioni provenienti dalla
medicina che si fondava sull'idea di "composizione" e di "giusta
complessione" del corpo, da cui scaturisce non solo la salute ma anche
la bellezza. Fermo restando
il valore specialistico di ciascun lavoro, questi ultimi contributi
acquistano un particolare significato secondo una prospettiva
estetologica volta ad individuare quelle nozioni che, attraverso
percorsi tortuosi e talvolta nascosti, costituiscono snodi fondamentali
del panorama a cui oggi si dà il nome di "estetica". Infatti la
trattatistica d'arte che si sviluppa a partire dal Rinascimento mutua
i suoi fondamenti teorici da due discipline: la retorica e la scienza.
Per quanto riguarda il contributo della retorica, ci si può rifare ai
fondamentali studi di R. Lee (Ut
pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, 1940,
trad. it. Firenze, Sansoni, 1974) e M. Baxandall (Giotto e gli umanisti, 1971,
trad. it. Milano, Jaca Book, 1994), invece non è ancora stato
adeguatamente studiato l'apporto della medicina e, più in generale,
della scienza all'elaborazione delle teorie artistiche. Si pensi, ad
esempio, al ruolo della fisiognomica nei trattati d'arte: sia nel De
pictura sia nel De statua Alberti afferma che
gli atteggiamenti devono conformarsi agli stati d'animo e Pomponio
Gaurico dedica un intero capitolo del De
sculptura al rapporto tra movenze e passioni. Finora questo
argomento è stato affrontato principalmente in relazione a Leonardo (F.
Caroli,
Leonardo. Studi di fisiognomica, Milano, Mondadori, 1991) che
conosceva i testi di fisiognomica e se ne servì in un paragrafo
relativo al carattere nel suo trattato sulla pittura. Ma si tratta di
una tematica che dal Medioevo giunge fino al Rinascimento e oltre tanto
che pure Giovan Paolo Lomazzo si sofferma, sia nel Trattato dell'Arte della Pittura
(1584) sia nell'Idea del Tempio della Pittura (1591), sulla relazione tra
stati d'animo e movimenti del corpo. |
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