21/2000 Gérard Dessond
Sono
molti i discorsi sulla poesia che hanno ripetuto il proposito di Claudel
sul "controllo" della parola attraverso la pulsazione del
cuore umano, vero e proprio "metronomo interiore" dal ritmo
indefinitamente binario, la cui rappresentazione, in Réflexions
et propositions sur le vers français, è famosa: Un.
Un. Un. Un. Un. Un. Pan
(rien). Pan (rien). Pan (rien). Claudel
commenta: "il giambo fondamentale, un tempo
debole e un tempo
forte". Il commento, per quanto ne so, non ha stupito. E avrebbe
dovuto. Non tanto perché assimila il ritmo alla prosodia metrica:
l'analogia è antica, Galeno segnalava l'assimilazione della diastole
con il tempo in levare (arsis)
e la sistole con il tempo in battere
(thesis).1
La stranezza del proposito deriva dal fatto che la rappresentazione
accentuale che mima l'alternanza dei tempi "Pan (rien)" non è
un analogo del giambo, il cui schema è la sequenza (È
-): debole, forte
- in realtà breve, lunga
-, ma del trocheo, il cui schema è inverso (È
-): forte, debole
- di fatto lunga, breve.
Il giambo e il trocheo sono due rappresentazioni antitetiche del ritmo.
Nel primo il tempo forte è in attacco di gruppo; nel secondo è in
finale. Come
spiegare questo sfasamento tra discorso e rappresentazione? Attraverso
l'intento di Claudel di fare del linguaggio altra cosa di uno strumento
di comunicazione, e di fare del ritmo un vero e proprio principio di
vita, il pendant linguistico della "pompa della vita"
cardiaca. Ciò che lo conduce ad avvicinare, in nome del ritmo, degli
inavvicinabili ritmici. Inoltre, fa passare per generale ciò che in
realtà egli pensa a partire dal francese - il suo testo, Sur
le vers français, è situato - e dal suo schema accentuale
"giambico", poiché l'accento vi è posto fondamentalmente in
finale di gruppo, come Claudel spiega chiaramente: "il francese è
composto da una serie di giambi il cui elemento lungo è l'ultima
sillaba del fonema e l'elemento breve un numero indeterminato [_] di
sillabe indifferenti che lo precedono".2 Non
si tratta qui di confondere Claudel, cioè di fargli la lezione -
l'insieme della sua opera mostra sufficientemente che il suo approccio
alla prosodia passava attraverso il poetico e non attraverso il
biologico -, ma di riflettere sul significato di una
"contraddizione" che anticipa le critiche motivate da approcci
cognitivisti alla letteratura. Questo iato rappresentazionale tra ritmo
cardiaco e ritmo linguistico è in effetti un bel problema
epistemologico: quello del modellamento mediante trasferimento di campi
di conoscenza. Non
mancano esempi di scienze o di discipline che hanno trasferito nel loro
proprio campo concetti provenienti da altri ambiti. È vero della
letteratura, che ha preso in prestito dalla pittura la sua nozione di maniera,
mentre la pittura, in cambio, le prendeva la sua nozione di stile. È vero della musica, che eredita la nozione
linguistica di frase e la
restituisce alla letteratura sotto la sua forma, rifatta, di fraseggio.
È vero ancora della linguistica, che prende dalla botanica la sua
nozione di radice, e dall'economia il suo concetto di valore.
Ma
tutti questi prestiti hanno per forza di cose delle conseguenze sul
pensiero dei nuovi oggetti sui quali li si fa operare. Effetti positivi
- euristici - se li si concettualizza, vale a dire se li si ripensa
specificamente entro il loro nuovo quadro; di fatto se li si inventa. Ma
effetti negativi se li si trasferisce tali e quali, ipotizzando
magicamente una applicazione senza resto. Collocherò per esempio in
questa categoria, una nozione che la critica letteraria ha recentemente
preso a prestito dall'intelligenza artificiale: la nozione di interfaccia.
Essa possiede la temibile virtù di trasformare in questione tecnica un
problema teorico, cioè epistemologico, avente per effetto il
non-pensato del rapporto tra gli ambiti così articolati, come la
letteratura e la biologia, il testo e l'immagine, o la vita e l'opera. Per
ritornare al paragone tra ritmo cardiaco e ritmo poetico, il proposito
di Claudel fa problema in quanto è metodologicamente aporetico. Esso in
effetti realizza l'incontro di due metodi differenti: un movimento che
va dal biologico al poetico, con l'idea che "l'espressione
sonora" è regolata da questo "strumento di misura" che
è il cuore; e un movimento inverso, che va dal poetico al biologico, e
che interpreta il ritmo sfigmologico mediante il modello di un piede
metrico. Se
questi due movimenti appaiono qui simmetrici, essi non lo sono in
teoria, poiché il linguaggio, Benveniste l'ha ricordato, è
l'interpretante di tutte le pratiche umane, tra cui le scienze, deboli o
forti che siano. Ciò significa che se il linguaggio, qualsiasi forma
esso abbia - poesia, testo teorico - è necessariamente in una
posizione di interpretanza3
nei confronti della biologia o dell'intelligenza artificiale (che ben
mostra, precisamente, questa espressione), non è vero l'inverso: la
biologia non è l'interpretante della letteratura se non, è vero, per
metafora. È
proprio questa non-reciprocità che gli approcci cognitivisti non
soltanto ignorano, facendo di questo disconoscimento un fondamento
teorico, non ponendo la questione della poetica della loro teoria. Il
movimento che va dal poetico al biologico è omogeneo a quello che fa
del linguaggio un interpretante radicale. È antico. In ogni caso più
del cognitivismo. Secondo
l'Encyclopédie di Diderot e di D'Alembert, che si fonda su
Galeno, è il medico greco Erofilo che per primo ha importato nel
discorso medico la nozione di ritmo,
che ha preso dalla musica. Si deve a Erofilo il primo trattato sul polso
[sphygmos] concepito come
una teoria della misura del movimento delle arterie, movimento
specifico, differente dal movimento del cuore e da quello della
respirazione. Contrariamente ai medici ippocratici, che percepivano i
battiti delle arterie come un movimento confuso, irregolare, Erofilo ha
in un certo senso proposto che il polso è regolare nella sua
irregolarità. Grossomodo che il polso ha del senso. Ciò che egli
chiama un ritmo. L'Encyclopédie,
che rimprovera a Erofilo di avere spinto troppo lontano la sua analogia,
e di averla fatta cadere in dettagli "difficili da
comprendere", spiega che il medico intendeva con questa parola
"una specie di modulazione e di cadenza",
moltiplicabile all'infinito, in funzione di parametri come la forza, la
grandezza, le velocità, l'uguaglianza, l'ineguaglianza. In
rapporto all'età dei soggetti, egli distingueva quattro forme ritmiche
di polso, che indicava a partire dal nome dei quattro piedi metrici: Il
primo polso che si può constatare nel neonato prende il metro di un
piede a sillabe brevi; è breve nella diastole e nella sistole, e gli si
riconoscono due tempi (È
È
pirrichio); negli
individui più cresciuti il polso ha analogia con quello che i
grammatici chiamano trocheo
(- È):
esso ha tre tempi: la diastole ne ha due e la sistole uno. - Nel polso
degli adulti, la diastole è uguale alla sistole; la si paragona a uno
spondeo (- -), che è il più lungo dei piedi a due sillabe, e
presenta quattro tempi. [_] Il polso degli uomini al tramonto e di
coloro che si avvicinano alla vecchiaia ha tre tempi; la sistole è il
doppio della diastole e dura più a lungo (È
- giambo).4 Commentando
quello che doveva essere il trattato di Erofilo - lo si conosce
soltanto attraverso gli scritti di Galeno e attraverso La
sinossi sul polso di Rufo -, Jackie Pigeaud parla di un
"vero e proprio trattato si sfigmologia metrica" (p. 261).
L'abbozzo, a ogni modo, di una poetica del corpo. Certamente, riguardo
alla poetica, questo modello porta in sé il suo limite, poiché riduce
il ritmo poetico alla misura metrica, cioè a una tipologia dei piedi.
Ciò che qui ci interessa non è tanto il modello in sé, quanto il suo
modellamento, il processo che teorizza un non-conosciuto biologico
attingendo dal campo di un conosciuto poetico. Non si tratta, in questo
caso, di un linguaggio del corpo - il prestito della terminologia
poetica non "trasforma" il corpo in linguaggio, in prosodia
-, ma di fare del poetico l'interpretante del biologico. L'effetto
non è soltanto di rapportare il sapere sul corpo alla storicità del
discorso, che verificherebbe, se lo si dubitasse, che noi siamo i figli
della teoria che la nostra storicità di soggetti pensati è
indissociabile dalla storicità dei discorsi che ci pensano; che la
molteplicità dei soggetti che ci compongono coincide necessariamente
con la molteplicità degli oggetti costituiti dai sistemi scientifici
- con i problemi di non-coincidenza, tanto sul piano medico che su
quello politico, che questo pone. L'effetto
è soprattutto quello di guardare un soggetto radicalmente soggetto, che
si realizza, si inventa nell'empirico del suo divenire. Ciò che può già
essere un pensiero del soggetto della poesia, nel senso di Henri
Meschonnic. Poiché l'attività di interpretanza della poetica non si
colloca in una relazione ermeneutica, che è una relazione di autorità:
il maestro del senso, il prete decifratore, colui che possiede le
chiavi. L'attività di interpretanza del linguaggio coglie anche il
linguaggio, e la poesia, nel suo movimento. Nella misura in cui lavora
sulla radicale alterità, trasforma se stessa attraverso l'alterità, e
non può esercitarsi che come altro. È
il senso del prestito della nozione di musica da parte della
letteratura, quando essa non è l'illusione che la prosodia del
linguaggio è del suono e che questo suono è della musica nel
linguaggio. Eustache Deschamps, nel 1392, non faceva questo errore; egli
distingueva una "musica artificiale" e una "musica del
linguaggio". Questa distinzione, un po' confusa nei simbolisti -
anche se bisognerebbe guardarci più da vicino -, sarà ripresa da
Claudel, che parla, a proposito della fonetica del francese, di
"musica del linguaggio".5
Ma l'essenziale del lavoro è stato fatto da Mallarmé, in pieno periodo
simbolista, il quale riprende dalla musica il "buono" delle
Lettere, e lasciandole, in cambio, il suo proprio buono. La musica della
poesia, allora, non è la musica. Come, in Michaux, la pittura della
poesia non è la pittura. En pensant
au phénomène de la peinture non è un testo che pensa sulla
pittura, ma a partire dalla
pittura.6
È per questa ragione che è una poesia e non un testo speculativo. Un
altro testo lo dice esplicitamente: En rêvant à partir de peintures énigmatiques. Michaux
riprenderà dalla pittura il buono delle Lettere. In questo caso il
pensiero di un continuum.7
Quando
Jackie Pigeaud commenta il trattato di Erofilo, dice: "Si credeva
che il corpo funzionasse come una poesia".8
La formula è bella - ne ricorda un'altra famosa di Lacan - ma non
è esatta. Erofilo non prendeva il corpo per una poesia, ma stava
cercando nel poetico un sapere sul corpo. La funzione di interpretanza
storicizza la metafora, e dunque la conserva; l'assimilazione la
destoricizza, e tende a reificarla. Là si trova tutta la differenza tra
la metaforizzazione e la poetizzazione. Poetizzare il corpo è come
poetizzare il mondo. Fare del mondo, come Hugo, come Claudel, una
poesia, è credere che le cose parlino, o che attraverso di esse parli
Dio, Dio o l'Essere. Storicizzare
la metafora è quindi farne un motore d'alterità, fare in modo che,
precisamente, il corpo non possa essere una poesia, ma che in cambio si
giunga a domandarsi se e come la poesia possa essere un corpo, del
corpo. Se e come il ritmo possa essere una pulsazione, che sia, in
questa trasposizione, a immagine della musica della poesia: la ricerca
dello specifico. Il
polso della poesia, allora, non può essere il falso giambo di Claudel
- "Un. Un. Un. Un. Un. Un." - cioè una metrica ridotta,
per di più, a una alternanza, ma ciò che rivela di facoltà di
individuazione, il ritmo della poesia. Non si tratta, evidentemente, di
costruire un vitalismo ritmico, di vedere nella metafora del polso il
beneficio di una concezione del ritmo poetico come energia vivente.
Dicendo questo si direbbe sicuramente qualcosa di importante ma non si
saprebbe cosa. Non
si tratta dunque, lo si capisce, di costruire qui un nuovo concetto di
poetica: un "poetico": un "polso della poesia" (pouls
du poème) come una "musica della poesia". Da un
lato non penso che la poetica ne abbia bisogno, e di conseguenza,
confessiamolo, l'espressione non sarebbe troppo felice, farebbe troppo
pensare a "pidocchio in testa" (pou
dans la tête), trasformando in parassita ciò che tenterebbe
di designare la specificità stessa della poesia. No, il problema non è
questo. Io suggerisco soltanto che il modo di procedere di Erofilo era
ispirato da una intuizione: la poesia è un fattore individuante
nell'infinito del suo ritmo. Erofilo prende sì un modello metrico, ma
è a una poetica, anche metrica, che chiedeva una teoria
dell'individuazione sfigmologica. E
nel gesto di Erofilo vi è forse il pensiero, per noi che leggiamo a
partire dal luogo in cui siamo, che la poesia ne sa più della biologia
sull'organizzazione del vivente. Vi è forse, in ultima analisi,
qualcosa di questo pensiero dell'umano che motiverà, molto tempo dopo,
i lavori di Émile Benveniste. Penso in particolare al suo articolo del
1958, De la subjectivité dans le
langage, dove affermava, mi pare senza eco, che
"l'insediamento della 'soggettività' nel linguaggio crea, nel
linguaggio e, crediamo, anche al di
fuori del linguaggio, la categoria di persona".9
Avventurarsi "fuori del linguaggio", ma "nel
linguaggio", dal quale effettivamente non si esce mai, è un po'
quello che ha fatto Erofilo, che ha dato il ritmo al polso. È
anche ciò che ha provato Claudel, a sue spese, quando interpretava il
ritmo del linguaggio attraverso il modello della pulsazione cardiaca.
Aveva pensato di uscire dal linguaggio per tornarvi munito di un modello
indubitabile. Ma la storia del falso giambo cardiaco mostra bene che dal
linguaggio non si esce, che vi aspetta quando pensate di averlo piantato
in asso, come il cane di Tex Avery. Di fatto non vi ha mai lasciato. Ed
è proprio nel momento in cui si crede di opporgli un principio più
credibile, perché più immediato, che vi prende a contro-mito:
"Pan (rien)". La
questione del primato assoluto del linguaggio è tanto più importante,
dato che la messa in relazione del ritmo e del polso comporta il
problema della formulazione in teoria del linguaggio o della letteratura
sul terreno fondamentale della soggettivazione. Vi è, in effetti, in
Erofilo come in Claudel, la convinzione che anche se le due nozioni di
ritmo e di polso10
funzionano ciascuna nel loro ordine - il linguaggio, la biologia
medica -, l'individuazione cardiaca e l'individuazione poetica non
sono dei processi incommensurabili, ma che si corrispondono nel campo di
una antropologia globale, dove l'umano non è a immagine dell'automa
cartesiano, il contenente meccanico di una entità animatrice. Il
modello, allora, sarebbe piuttosto il fenomeno della voce, questa entità
irriducibilmente fisica e semantica. Tuttavia,
occorre insistere, i due ordini non sono simmetrici nella loro
articolazione. L'individuo umano, da qualsiasi lato lo si prenda,
somatico o semantico, è a immagine del segno secondo Saussure:
indivisibile, ma lo è specificamente "nel linguaggio". Il
sogno panritmico è a immagine del sogno pansemiotico: un incubo. Quando
si è dappertutto non si è da nessuna parte. Non vi è più alterità,
più alterità prima, più identità, e più specificità. Per questo
motivo occorre far posto alla critica della teoria, quando la teoria non
è critica. Il che significa quando una teoria non è una teoria. Non
si tratta, beninteso, di assegnare una "forma" particolare
alla teoria, di relegarla, ad esempio, nello speculativo. Una poesia può
essere, a suo modo, teorica. Ma occorre anche riconoscere che parecchie
teorie letterarie sono delle semplici concezioni, dei meri punti di
vista. Degli slanci. In
tal modo, le buone intenzioni del tutto-per-l'euristica11
sono una nobile aspirazione quando non pensano le condizioni di una
euristica. Un processo euristico non può trascendere la storicità del
campo discorsivo che costituisce la specificità epistemologica di
questa o quella disciplina. L'euristica, molto spesso, non è che una
ermeneutica mascherata da scientismo - un amore delle parole. Ma
non si costruisce una teoria della letteratura come si fa la spesa,
prendendo dei concetti qui e là, in funzione della loro apparente
freschezza. L'eclettismo concettuale, che vuole essere la forma
scientifica delle virtù etiche - l'apertura, il non-settarismo - fa
ballare le nozioni a suono di valzer. Non è che una impresa di
deconcettualizzazione. È ciò che succede al ritmo, quando ne si fa un
universale, senza specificità. Nella critica letteraria o artistica,
l'apprensione del ritmo si riduce spesso a un soggettivismo. Si legge
allora che in quel quadro o in quella poesia "c'è del ritmo".
Come se il ritmo fosse una impressione, o una quantità. Mettetene tre
chili. La lezione del medico greco Erofilo va dunque meditata, poiché
aveva chiamato ritmo non la percezione
di un movimento ma il sentimento di una organizzazione
di questo movimento, legato all'individuazione. Questa
vicenda del polso nel ritmo o del ritmo nel polso potrebbe rappresentare
un aneddoto, una curiosità nella storia movimentata del concetto. Ma la
sua virtù è davvero contemporanea: ci fa guardare, dal punto di vista
dell'oggi, là dove, mano nella mano, letterati e scienziati guardano,
con le lacrime agli occhi, sorgere le stelle. [Traduzione
di Rita Messori] 1 Citato
da J.
Pigeaud, Du
rythme dans le corps. Quelques notes sur l'interprétation du pouls par
le médicin Hérophile, "Bulletin de l'Association
Guillaume Budé", n. 3 (1978), pp. 260-261. 2 P.
Claudel, _uvres
en prose, "La Pléiade", Paris, Gallimard, 1965, p.
5. L'allungamento è assimilato all'accentuazione: "La frase
francese è composta da una serie di membri fonetici o corte onde vocali
con accentuazione e insistenza più o meno lunghe della voce sull'ultima
sillaba" (pp. 32-3). Il curioso utilizzo del termine
"fonema", là dove ci si sarebbe piuttosto aspettati la
nozione di "gruppo fonetico", è stato già sottolineato. In
effetti, essa non è nella tradizione della linguistica saussuriana, ma
in quella della fonetica sperimentale e della sua nozione di
"parola fonetica" per designare un gruppo ritmico. 3 [L'autore
utilizza il neologismo interprétance,
che abbiamo tradotto con interpretanza, al posto di interpretazione, per
distinguere il lavoro interpretativo aperto dalla concezione ritmica
del linguaggio da quello tipico dell'ermeneutica, che non terrebbe in
debito conto il movimento storico del linguaggio - situazionale e non
epocale - e l'impossibilità di uscirne. L'interpretanza più
dell'interpretazione, è atto interpretativo radicato nel processo di
individuazione del linguaggio. NdT.] 4 Citato
da
J. Pigeaud, op.
cit., p. 260. 5 P.
Claudel, _uvres
en prose, cit., p. 34. 6 Vi
è una grammatica e un lessico delle poetiche, specifici ogni volta. In
Michaux pensare
a significa: pensare
a partire da. 7 Queste
osservazioni su Mallarmé e Michaux fanno implicito riferimento a tre
miei articoli, ai quali mi permetto di rinviare: La
manière d'Henry: prolégomènes à un traité du trait,
"La Licorne", Méthodes
et savoirs chez Henri Michaux, UFR de Lettres et Langues de
l'Université de Poitiers, 1993; Le
Mallarmé des Sixties, "Europe", Stéphane
Mallarmé, Paris, gennaio-febbraio 1998; Lire
la peinture, di prossima pubblicazione in un numero speciale
su Michaux della rivista "Littérature", Paris, Larousse. 8 J.
Pigeaud, op.
cit., p. 267. 9 É.
Benveniste, Problèmes
de linguistique générale, Gallimard, 1966, p. 263 [trad.
it. Problemi
di linguistica generale, Milano, Il Saggiatore, 1971, p.
316]. Le sottolineature sono mie. 10 Tralascio,
perché non è questo il problema, il fatto che il polso, ripercussione
della pulsazione cardiaca nelle arterie e oggetto della ricerca medica
di Erofilo, non è la stessa pulsazione cardiaca, presa da Claudel come
modello di discorso. 11 Nella presentazione del numero della rivista "TLE" (Théorie, Littérature, Einsegnement), alle Edizioni Universitarie di Vincennes, dedicata a Epistémocritique et cognition (n. 10, 1992), N. Batt si interroga sul modo in cui la teoria letteraria poteva "sentirsi riguardata dal lavoro concettuale e dal progetto di nuove discipline - l'intelligenza artificiale, ad esempio - o da questa federazione di discipline che hanno nome di scienze cognitive", e si domandava particolarmente come poteva "benficiare del potere euristico racchiuso da questi nuovi concetti matematici - sistemi dinamici non-lineari, attrattori strani, frattali - che di certi fenomeni dell'universo offrono delle nuove rappresentazioni dalla prospettiva delle nuove formalizzazioni" (p. 6). |
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