20/1999
Studi di Estetica
III serie
anno XXVII, fasc. II

Davide Sparti
Intimità, riconoscimento e genere nel cinema americano

 

 

 

Il film mi procura sempre [...]
materiale per pensieri e sentimenti.

L. Wittgenstein, Diario 1930-1932

Un ingenuo e stupido film americano
può insegnare qualcosa nonostante
tutta la sua scempiaggine
e per mezzo di essa.

L. Wittgenstein, Pensieri diversi, 1947

Eppure non mi dà riposo,
sapere che in uno o in due
siamo una sola cosa.

E. Montale.

I. Quanto segue rappresenta il tentativo di analizzare alcuni film americani degli anni trenta non tanto dal punto di vista estetico e filmico (rispettivamente come un determinato uso del linguaggio cinematografico o come un momento della storia del cinema), ma, dietro indicazione di Stanley Cavell, dal punto di vista propriamente filosofico, come occasione per esplorare alcuni aspetti della condizione umana. Lo stesso senso della ricerca di Cavell nei confronti dei film non è tanto quello di presentarli come forma d'arte o parte integrante dell'eredità intellettuale americana, ma piuttosto quello di una lotta contro i pregiudizi, nel tentativo di far accettare alla comunità dei filosofi i film quali portatori di contenuti filosofici.[1]

Più in particolare, questo tentativo verrà fatto esaminando, nell'ordine, due generi che hanno avuto il loro momento di splendore tra la metà degli anni trenta e la fine degli anni quaranta, la commedia hollywoodiana nota come "Comedy of Remarriage", e quella variante del melodramma che Cavell battezza "The Melodrama of the Unknown Woman".

La Comedy viene da Cavell individuata raggruppando sette film. In ordine cronologico, essi sono i seguenti: It Happened One Night, diretto da Frank Capra del 1934, con Clark Gable e Claudette Colbert; The Awful Truth, diretto da Leo McCarey nel 1937, con Cary Grant e Deborah Kerr; Bringing Up Baby, diretto da Howard Hawks nel 1938, con Cary Grant e Katharine Hepburn; His Girl Friday, diretto nel 1940 da Howard Hawks, con Cary Grant e Rosalind Russell; The Philadelphia Story, diretto da George Cukor nel 1940, con Cary Grant e Katharine Hepburn; The Lady Eve, diretto da Preston Sturges nel 1941, con Henry Fonda e Barbara Stanwyck; Adam's Rib, diretto da George Cukor nel 1949, con Katharine Hepburn e Spencer Tracy. Questi film — superficialmente squalificati come favolette per la Grande Depressione, confezionate per distrarre la gente dalla crisi economica e dalla disoccupazione — possono essere in realtà assunti quali metafore degli atteggiamenti assunti verso noi stessi e verso gli altri, quasi fossero una strategia per rispondere o far fronte alla preoccupazione per alcuni aspetti fondamentali della condizione umana, quali l'intimità, la finitudine, la separatezza...[2]

II. Noi non siamo solo esseri che aspirano a una identità in quanto persone umane, dunque universalmente degne di essere rispettate. Ci interessa essere riconosciuti — e di fatto lo siamo — nell'amore, nella lealtà, nell'odio, nell'invidia, nella lode, nel lavoro, nelle azioni, nelle opere che realizziamo... Qui di seguito esploreremo il caso dell'amore, una forma di riconoscimento particolare, la quale, a differenza di quanto si ritiene comunemente, non produce sempre approvazione rassicurante e incoraggiamento emotivo. Sia perché ci può porre di fronte alla nostra condizione di esseri bisognosi, e dunque incompleti e fragili, sia perché — più ovviamente — può esporci all'impossibilità di imporre una identità — la nostra — che, nell'essere respinta o modificata dall'altro, si rivela instabile e in definitiva contingente. Poiché restare fedeli alla propria identità di ruolo appare molto più facile che accettare l'amore di qualcuno e ciò che esso rivela, e poiché ognuno crede di possedere la sicurezza della propria identità ma non altrettanto quella della vita in comune, per attenuare il rischio di entrare in contatto con una seconda identità e trasformarsi in qualcos'altro — cioè per rimandare l'insostenibile confronto con l'altro, e con la propria contingenza —, cominciamo a isolarci e a esonerarci dalla vita, ossia cominciamo già a morire. E così, quando due persone decidono di passare insieme una parte della vita, è spesso perché il rischio è ormai passato e ciascuno è ritornato dov'era, dove soffre meno perché soffre di una infelicità che gli appartiene, gli è familiare e in definitiva lo protegge. Il tempo speso a conoscersi e ad amarsi serve non a stabilire una vera e propria unione ma a ristabilire quello che le due persone erano prima di conoscersi.

La trama delle Comedies of Remarriage è strettamente legata a questi dilemmi della condivisione. Evocata in modo succinto, essa vede due individui, sposatisi nell'illusione di essersi conosciuti e desiderati da sempre, scoprire prima la loro irriducibile individualità e dunque la deludente incompletezza che il rapporto fa emergere, per poi ritrovare la corretta posizione l'uno nei confronti dell'altro: né estranei, né identici, ma uniti nella reciproca separatezza. In questo modo i due protagonisti possono ritornare di nuovo insieme (di qui il re-marriage). Rispetto alla classica commedia moderna, dove due giovani fatti l'uno per l'altro vengono ritratti nel loro sforzo di coppia potenziale per rimuovere un ostacolo che impedisce loro di unirsi, quella hollywoodiana narra la vicenda di una coppia già unita e un po' più anziana di quella tradizionale, impegnata nel superare ostacoli non esterni ma posti fra i membri della coppia stessa. La vicenda riguarda dunque due persone, incontratesi in precedenza, le quali devono scoprire insieme che (e fino a che punto) sono fatte l'una per l'altra. Non si tratta di trovare la persona "per la quale siamo nati", la persona "fatta per noi", ma di ri-conoscere la persona che abbiamo già trovato come quella per la quale siamo nati.[3] Affrontiamo adesso più analiticamente i temi o le caratteristiche essenziali di tali commedie, che sono — anticipate in breve —, le seguenti: la separazione e il rischio di divorzio (l'inizio o l'apertura del film); una significativa e prolungata discussione su ciò che costituisce il matrimonio (il problema); una scena in cui l'uomo insegna qualcosa di fondamentale alla donna (la "creazione" della donna); il passaggio verso una diversa dimora e una nuova concezione del tempo; l'assenza di figure materne ed una esplicita rinuncia ai figli da parte della coppia (il costo della felicità).

III. Punto di partenza della nostra analisi è il problema iniziale che minaccia l'unità della coppia. In quanto luogo di unione del privato con il pubblico, ogni matrimonio è intrinsecamente esposto al rischio. Nelle Comedies of Remarriage, in particolare, il litigio che sta compromettendo l'unione della coppia ha anzitutto — benché non esclusivamente — a che fare con una circostanza legata alle età della vita. I due protagonisti si conoscono (spesso) fin da adolescenti. Ora, come nota Cavell, l'adolescenza rappresenta il punto di passaggio alla sessualità, all'età adulta e a una nuova forma di intimità rispetto a quella che caratterizza la relazione fra due adolescenti, ed è pertanto qualcosa che insieme attrae e respinge, in cui la reciprocità del desiderio seduce e spaventa. L'adolescenza rappresenta inoltre, per molti versi, anche un momento di illusione, un limbo ancora al di fuori o posto prima della vita adulta, prima della "storia", potremmo dire. Se questo è vero, allora l'unione matrimoniale diventa la presa di contatto con la storia, il momento e il luogo che dissipa l'illusione di una relazione di attaccamento infantile o di fratellanza, con la sua felicità spontanea. E questa disillusione reclama vendetta, la vendetta per aver scoperto un modo di amare che evidenza la propria transitorietà e incompletezza. Forse incapaci di spezzare o trasformare una familiarità indistinta e quasi incestuosa in uno scambio erotico (ossia ancora incapaci di sovrapporre l'adulto al bambino), i due si separano, e di solito la donna prova a ritrovare la propria soddisfazione cercando di sposare "regressivamente" un surrogato della figura paterna, in tutto e per tutto opposto al primo marito: più anziano, completamente privo del senso dell'avventura, capace di presentarsi assieme alla propria madre. Questo tentativo di risolvere il problema della sessualità "addomesticando" il desiderio "svegliato" dal primo uomo (il marito), è destinato a fallire, perché la logica del desiderio — la genitalità — riemerge.

Un secondo ostacolo al matrimonio è di natura non psicologica ma propriamente filosofica o metafisica, investendo il concetto stesso di matrimonio, ossia la questione dell'unione, di un evento attraverso il quale due (persone) diventano una (coppia). Tale aspirazione — ma anche la correlativa repulsione — a essere l'uno nell'altro è però solo metà del problema: l'altra metà riguarda come restare due pur essendo divenuti uno, vale a dire come essere l'uno per l'altro. Questa unione nella differenza è a volte rappresentata simbolicamente. In It Happend One Night, ad esempio, una coperta posta sopra uno spago separa lo spazio di una stanza condivisa (una coperta/tenda che Clark Gable battezza le "mura di Gerico"). Benché destinata finalmente a cadere, la coperta accompagna le avventure della coppia ed esprime il timore di due persone che, pur amandosi, hanno paura di accettarsi, e allora tengono su una coperta, e una cortina psicologica: si eludono. La ricerca della corretta relazione, ossia della dipendenza e indipendenza reciproca, e l'elaborazione del senso della propria differenza (la differenza che li unisce), diventano anch'esse oggetto di discussione, nel senso che la propria posizione o identità deve essere ricercata e scoperta nel corso del matrimonio. E questa ricerca non è un mezzo per conseguire un (nuovo) matrimonio, ma è essa stessa istanza di matrimonio: diventa il loro matrimonio.

Nelle Comedies of Remarriage il vincolo matrimoniale appare sia ciò che è in discussione e viene messo alla prova,[4] sia ciò che è diventato irriconoscibile. Non è un caso che il matrimonio come evento — la cerimonia — non sia mai mostrato (né il primo, né quello nuovo o ripetuto).[5] Quello che ci viene mostrato è invece come la ri-unione possa essere perseguita. Rispetto a questa incapacità di riconoscere (e dunque alla necessità di riscoprire il senso de) il vincolo — osserva Cavell —, la "tesi" che affiora nelle Comedies è la seguente: quanto costituisce il matrimonio non sta al di fuori del matrimonio stesso. Dopo che il romanticismo ha mostrato fino a che punto l'organizzazione politica del matrimonio è essa stessa soggetta ai dettami dell'amore (cfr. A. Giddens [1992], p. 40), né la legge, né la chiesa, né lo stato, né la compatibilità sessuale, né la progenie possono autenticare il senso e la validità di un legame matrimoniale.[6] Ciò che costituisce il matrimonio deve essere invece riscoperto o inventato dai protagonisti mediante una disponibilità e prontezza al riconoscimento reciproco. Allora la volontà di ri-unirsi diventa un modo per continuare ad affermare la felicità immanente alla propria attrazione iniziale, come se l'occasione di felicità si realizzasse solo alla seconda occasione, vale a dire — con un gioco di parole — assecondandosi.

IV. Ma come avviene l'effettivo salto dalla mutua delusione e frustrazione al riconoscimento della propria reciprocità? Come viene superata l'elusione, e le sue conseguenze negative? Nelle Comedies of Remarriage è solitamente la donna che richiede o consente a se stessa un aiuto educativo — un riconoscimento — da parte dell'uomo, il quale viene messo nella condizione di redimere la donna. Tocca dunque all'uomo fare la prima mossa, anche per oltrepassare il rivale che la moglie vuole (e non vuole) sposare. È ancora Cavell a sottolineare come la richiesta spirituale che la donna indirizza all'uomo sia una richiesta di diventare più pienamente umana. Una richiesta che al tempo stesso la donna desidera — di cui avverte il bisogno — e alla quale oppone una certa resistenza. Questa metamorfosi o "creazione" di una nuova persona, in ogni caso, passa attraverso la capacità di mettere da parte la propria artificialità (in senso stretto, la frigidità e l'incapacità di sentire).

Benché le allusioni teologiche alla Genesi ricorrano in tutti e sette i film del genere (si pensi anche soltanto ai titoli The Lady Eve e Adam's Rib), vi sono alcuni episodi indicativi di questa "creazione". In It Happened One Night, ad esempio, Gable insegna di tutto a Claudette Colbert, dal modo di inzuppare le paste al modo di spendere i soldi — in pratica, le insegna cosa vale la pena consumare, e quindi "ciò che conta".[7] Avendo passato una notte fra i campi, la donna (Colbert) avverte una fame improvvisa. Lui le offre delle carote (crude), che lei rifiuta disgustata — un segno della sua distanza dall'aspetto più vitale e sensuale della condizione umana. Due giorni dopo, finalmente, accetta la carota, ed è il suo modo di esprimere l'accettazione — il riconoscimento — della propria umanità (nonché dell'uomo che le ha fornito l'occasione di autoriconoscerla, ossia Clark Gable).[8]

In The Philadelphia Story tale "creazione" non passa attraverso il cibo ma si attua "spezzando" una statua (una donna pietrificata nella sua artificialità) per estrarvi una donna.[9] La questione dell'identità della protagonista viene esplicitamente sollevata sotto forma di domanda sullo status della donna: è una dea di pietra (un essere divino, pietrificato, solo da ammirare) o una donna incarnata?[10] In questo film vi sono addirittura due uomini che assumono il ruolo di "educatori" della Hepburn, Cary Grant, il marito, e James Stewart, giornalista e poeta. Entrambi contribuiscono a liberare la donna dalla condizione che le impedisce di concedersi — a loro, ma soprattutto alla vita. Stewart la muove o la smuove con le sue poesie, ma non riesce a trasformarla, e anzi quando lei grida "O come vorrei essere utile al mondo" (invece di essere una vergine dell'alta società...), lui fraintende tragicamente la natura della richiesta, e afferma di volerla collocare in una torre d'avorio per adorarla da lontano.

Questa educazione è per molti versi una vera e propria metamorfosi, che si potrebbe esprimere drammaticamente, o drammaturgicamente, nei termini della figura della morte/resurrezione: la donna prima muore e poi rinasce (con un'altra identità). A volte questo mutamento magico o terapeutico, propiziato dall'uomo, ha luogo quasi letteralmente, come quando, ancora in The Philadelphia Story, la Hepburn sviene (muore come dea) e si risveglia (come donna — fra tre uomini che la desiderano: il marito, il giornalista poeta ed il potenziale nuovo marito), ossia "apre gli occhi", al proprio desiderio e alla propria sessualità: accetta l'importanza della propria condizione umana come condizione manchevole e incompleta, desiderante.

Da un punto di vista cinematografico, come nota Cavell, la creazione della donna viene segnalata attraverso il ruolo della cinepresa, la quale allude all'attrice stessa, a quell'attrice in carne e ossa che si proietta sullo schermo, con la sua presenza fisica, e mostra una parte del suo corpo nudo.[11] Claudette Colbert viene ripresa mentre mostra la gamba per assicurarsi un autostop (It Happened One Night); Katharine Hepburn viene ripresa mentre si tuffa (The Philadelphia Story); mentre cammina a quattro zampe attraverso i boschi del Connecticut in un vestito bagnato e aderente, o con una gonna casualmente strappata da Grant (Bringing Up Baby); oppure — ancora — mentre viene sottoposta a un massaggio (Adam's Rib).

In His Girl Friday ritroviamo ancora il motivo della "creazione" della donna. Il film inizia con quello che dovrebbe essere un rapido ed apparentemente ultimo incontro fra Hildy (Rosalind Russel), accompagnata dal suo futuro marito — un triste assicuratore di provincia (Bruce) —, e il marito attuale Walter (Cary Grant). Sono in procinto di divorziare, per non aver mai avuto una "casa", come osserva lei, e per aver lavorato entrambi freneticamente come giornalisti in una grande metropoli. Eppure, viene da domandarsi, perché Hildy non telefona allo scopo di confermare la fine del rapporto? Perché torna a trovare Walter? Perché in fondo gli sta chiedendo di "salvarla", di aiutarla a fuggire dalla prospettiva di una ordinaria infelicità coniugale, in nome di una felicità instabile ma, diciamo così, dinamica. Una spia che Walter possiede questa caratteristica della dinamicità è offerta dal seguente episodio: Bruce propone a Walter una assicurazione sulla vita, presentata come utile non nel corso della vita, ma dopo. Walter, ridendo, la giudica una proposta del tutto irrilevante, segnalando non solo la sua intramondanità, ma anche la consapevolezza della sua condizione umana, della propria mortalità. È in forza di questa sua umanità che Walter, con un espediente, riavvicina Hildy a un caso giornalistico scottante (quello di un condannato a morte), rimettendola in azione sul campo, e soprattutto valorizzandola e apprezzandola come scrittrice — e riconoscendo anche il suo proprio bisogno di lei come giornalista. È il nuovo inizio, ed è il compimento della creazione della donna, che adesso sa dove — e chi (e con chi) — è.

V. Indubbiamente in queste commedie, anche considerando l'epoca e la provenienza, vi è quella che potremmo chiamare una asimmetria di genere. Se in un certo senso la donna si ricrea nell'immagine e attraverso una "educazione" dell'uomo, questa immagine l'uomo ignorava di averla o di poterla manifestare, almeno in quella forma. Pur educando, cioè, anche l'uomo viene a riconoscere non solo i sentimenti che ha per la donna, ma pure il suo ruolo — la sua identità —, nella coppia e nella società. Anche lui deve cambiare, rilassando il proprio autocontrollo, e il controllo sulla relazione. Il fatto che la creazione provenga dall'uomo non significa dunque che sia una creazione per l'uomo (per suo uso e sopruso).

Non solo. Come osserva Cavell, per poter "educare", l'uomo deve essere capace di una certa umiliazione, deve riuscire a rendersi vulnerabile e ridicolo, mettendo in questione la propria dignità di ruolo e il senso del proprio valore. Tracy balbetta in sede processuale e, in un'altra scena, piange, mostrando di non soccombere al precetto maschile di non sentire e di mostrarsi invulnerabile (Adam's Rib); Grant si improvvisa cantante (The Awful Truth) e viene ripreso con un ridicolo negligé femminile (Bringing Up Baby). Queste circostanze segnalano la capacità dell'uomo di imparare, di disporsi a cambiare e di esporsi all'avventura. Solo l'uomo, quell'uomo che non intende dominare ma che anzi riesce a rendersi comico, sa risvegliare nella donna il desiderio di concedersi. In definitiva, in queste commedie non è del tutto ovvio chi effettivamente educhi o insegni,[12] anche perché ciò che deve essere (ri)creata è la relazione umana; è la capacità di riconoscere e accettare la propria reciproca umanità. Per questo la metamorfosi può essere anche dell'uomo, come in Bringing Up Baby, dove è la donna che dirige, e l'uomo il suo uditorio.

All'inizio di questo film incontriamo Grant/David, professore pensoso e distratto (che mima la posa della famosa statua di Rodin), rigido e inespressivo, vagamente immalinconito per questa sua (maschile) inespressività. Impegnato a completare la ricostruzione dello scheletro di un brontosauro, destinato a sposarsi ("senza luna di miele") con la sua assistente, e a fare dello scheletro "il suo bambino", David (o quantomeno una parte di lui) appare pietrificato, "in stallo". Tutto il film ruota intorno al crollo di questa identità sotto la pressione di Tracy (Katharine Hepburn) e degli eventi ludici o para-ludici nei quali lei trascina lui (golf, inseguimenti vari, nascondino, travestirsi, cercare l'oggetto nascosto...). David cerca di districarsi (senza successo), benché non sia chiaro se stia cercando di rifuggire dalla situazione, da una donna piena di inventiva ma destabilizzante come Tracy (una donna, come osserva David, che non fa alcuna cosa con una ragione), o invece dall'assistente, visto che strada facendo non solo scopre di amare Tracy, ma anche di essere diventato un'altra persona.[13] Per i protagonisti delle Comedies of Remarriage non si tratta solo di mutare le proprie identità, prendendo atto della propria condizione: si tratta di trarne le dovute conseguenze, ossia di convivere con la provvisorietà e la contingenza. Se His Girl Friday identifica questa qualità con il mestiere del giornalista, di chi fa dell'incertezza e del fiuto la dote per poter scoprire ed esprimere delle verità, il caso più esemplare di tale accettazione ha forse luogo nel finale di The Philadelphia Story, quando Grant dice alla Hepburn: "I'll risk it — will you?", come a dire: sono disposto a correre il rischio di fallire nel ricercare la felicità, la rischiamo insieme? O forse anche: sono disposto a convivere con una identità — la mia, la tua, la nostra — conosciuta ma anche sconosciuta, indefinita; mi vuoi seguire? Questo senso dell'avventura e della contingenza si fonda su alcune condizioni, che vale la pena esaminare singolarmente.

VI. La prima condizione è la capacità di improvvisare e di divertirsi, ossia l'apertura verso l'infanzia (insuperabile dono di Grant), e la volontà di giocare e ridere insieme, assegnando il giusto ruolo alla teatralità nella vita di coppia. Si tratta di riconoscere il fatto che tutto, e chiunque, può essere avventuroso, e che quanto si fa è meno importante della circostanza di farlo assieme. In Bringing Up Baby, ad esempio, la coppia non fa apparentemente nulla dall'inizio alla fine, se non divertirsi assieme, giocare (un'attività che si esaurisce nella pura circostanza di essere praticata).

La seconda condizione consiste nell'assumere un nuovo atteggiamento nei confronti del tempo. Nel corso della commedia, i due protagonisti abbandonano ogni spirito vendicativo verso il tempo "che è stato". Smettono di essere ostili verso il proprio passato, e accolgono apertamente una felicità della ripetizione la quale, per un verso, richiama Kierkegaard, per un altro verso evoca lo Zarathustra di Nietzsche, e l'idea secondo cui l'istituzione dell'eterno ritorno farà sì che ogni momento del tempo avrà in sé tutto il suo senso. Forse per questo Nietzsche rivendicava l'opportunità dell'oblìo come condizione per sollecitare l'uomo a rivalutarsi quale creatura occasionale, in divenire, che vive ogni situazione come per la prima volta. Dal punto di vista della coppia delle Comedies, questo nuovo atteggiamento nei confronti del tempo si esprime mediante la riscoperta dell'iterazione come tempo che si ripete eppure non si ripete, come tempo della seconda occasione. In Bringing Up Baby, ad esempio, questo tempo circolare, ma anche indeterminato e sospeso, è alluso dal fatto che la coppia ruota sia letteralmente che cronologicamente su se stessa; ruota anche intorno ai luoghi dove le capita di vivere, che ritornano apparentemente senza senso. La prospettiva sull'esistenza non è più quella del passare degli anni da con-dividere ("finché morte non ci separi"), ossia quella di un tempo che finisce e si esaurisce nel futuro. È invece la prospettiva della volontà di ripetere ogni giorno, quotidianamente, la svolgersi della vita, seguendo gli eventi fin dove portano, piuttosto che sperare in una vita tenuta insieme da un evento iniziale, lo sposalizio. Si tratta insomma della scoperta della, e dell'accesso alla, dimensione quotidiana e "diurna" del presente continuo (del "per sempre così"), e della perpetua invenzione o improvvisazione di un presente che succede sempre e di nuovo.

La terza e ultima condizione di questa dimensione "avventurosa" della convivenza e della reciprocità riguarda infine un particolare senso del luogo, del "proprio" luogo. Non si tratta tanto della casa come mondo privato.[14] Si tratta piuttosto del fatto che i due sono a casa — in intimità — l'uno con l'altro, a prescindere da dove siano, o dalla possibilità di condividere un tetto — come capirà Hildy in His Girl Friday, che accetta l'avventura e corre via con Walter verso una luna di miele improvvisata; come a segnalare che è la vita stessa — almeno la loro — a essere una luna di miele. Questo primato dell'abitare sull'abitazione viene sottolineato alludendo a una casa, o forse meglio a una home, per loro (i due protagonisti): una home che non è necessariamente un posto ma una prospettiva, una direzione condivisa, un senso di reciproca appartenenza anche quando si è in movimento. In The Philadelphia Story il simbolo di tale senso della contingenza e dell'avventura è la barca ("True love") che Grant ha progettato e costruito per la loro luna di miele. In It Happened One Night i protagonisti dormono tre volte per strada (una volta all'aperto e due volte negli auto camp cabins), per poi scoprire che tale vita costituisce già qualcosa come un matrimonio. Se si volesse comunque indicare il luogo geografico dove acquisire questa prospettiva, ebbene questo luogo — nelle Comedies of Remarriage — è il Connecticut. Ma, precisa Cavell, si tratta di un luogo per molti versi mitico o magico, paragonabile a un pastorale mondo del verde, un mondo a parte, lontano dalla civiltà della confusione, simile al bosco del Sogno di una notte di mezza estate. Nel Connecticut delle Comedies, in effetti, sembra che nessuno sappia come arrivare: in Adam's Rib e in The Lady Eve non si vede in che modo la coppia vi giunga — quasi esistesse solo cinematograficamente (e non solo perché a quei tempi gli "esterni" erano complicati da girare) —, mentre in The Awful Truth e in Bringing Up Baby arrivarci significa violare la legge e intraprendere un'avventura — almeno a tratti — assurda. Se il Connecticut (o l'America stessa) è il luogo dove la felicità di queste commedie è possibile e può realizzarsi, si tratta di un luogo deliberatamente fittizio.

Anche il finale, la chiusura volutamente equivoca di queste commedie sembra ribadire tale considerazione metacinematografica sullo status delle avventure rappresentate. Mentre la coppia scompare dalla nostra vista, il senso di quello che hanno raggiunto rimbalza su di noi spettatori, ad esempio dichiarandoci testimoni delle fotografie dei protagonisti in quanto divi (in The Philadelphia Story), oppure suggerendo di non impicciarci, di farci i fatti nostri (in Adam's Rib), come se la ricerca non fosse ancora compiuta, e anzi fosse ancora in corso, e i protagonisti ci sfidassero a intraprendere la nostra. In entrambi i casi siamo risvegliati dalla posizione di osservatori sommersi nell'illusione. In questo senso, il cinema può talvolta permetterci, come spettatori, di riconoscere le condizioni che si determinano nella vita quando soccombiamo al desiderio di evadere l'assunzione della nostra contingenza, a quell'ansia la quale ci spinge a eludere le situazioni che ci espongono alla nostra condizione umana. Nessuno, neppure la coppia, sa come raggiungere lo stato verso il quale è diretta, perché questo va scoperto (e poi riscoperto) da loro — e il matrimonio è proprio il nome di questa avventura o ricerca nei confronti della quale i due si sentono impegnati, senza nessuna garanzia di successo.

Al centro delle commedie hollywoodiane sta dunque il tema del riconoscimento reciproco, e di come intimità e separatezza possano abbracciarsi attraverso la riscoperta della specificità del vincolo che unisce due individui. Le Comedies ci mostrano come ciò che dovrebbe starci a cuore non è in nessun caso una identità perfettamente fondata, ma, semmai, un insieme di riconoscimenti intersoggettivi, i quali consentano di continuare a esistere come individui identificabili, la cui differenza dall'altro — e la cui unità con l'altro — sia stabilita e ristabilita nel tempo.

VII. Se questo movimento verso una vita felice, avventurosa e divertente — ordinaria e straordinaria al tempo stesso — ha i suoi lussi affinché si compia fluidamente e senza interruzioni (la coppia non ha mai disagi economici), ha anche i suoi costi. Uno dei prezzi di quella felicità è dato, ad esempio, dall'assenza di figli, ossia dal fatto che la protagonista non è mai ritratta come madre (la stessa madre della protagonista è assente). Che implicazioni ha la negazione della maternità e del ruolo di madre della protagonista? Da una parte segnala la necessità di una riserva e di un surplus di investimento libidico ed espressivo che i due protagonisti saranno chiamati a scambiare reciprocamente per ritrovarsi, ribadendo che se il matrimonio autorizza i figli, la prole non può autenticare il matrimonio — o forse esprimendo il desiderio dei protagonisti di essere ancora bambini, o meglio bambini insieme, concedendosi reciproca attenzione e spazio al gioco. Come ha osservato Nietzsche nello Zarathustra, l'appagamento abolisce i retaggi: "la gioia non ha alcun bisogno di eredi o di bambini. La gioia vuole se stessa, la ripetizione delle stesse cose, essa vuole che tutto resti com'è". Dall'altra parte, se interpretiamo l'assenza di maternità come una negazione, essa allude forse anche al fatto che la felicità della coppia non è perfetta o completa.[15] Come a dire: non si accetta l'infelicità, ma neppure la si nega. O anche: la commedia ci fa ridere e sorridere, ma la tragedia è che ogni commedia ha i suoi limiti, e questa è parte del senso di vuoto e di malinconia che talvolta ci assale dopo la risata più fragorosa.

È proprio alla luce di quest'ultima considerazione che Cavell ha recentemente individuato e analizzato un secondo genere filmico, battezzato il Melodrama of the Unknown Woman (traducibile con "il melodramma della donna misconosciuta"). Come la commedia, anche il melodramma ha avuto il suo momento di splendore tra la seconda metà degli anni trenta e la fine degli anni quaranta, e comprende, nel sottoinsieme individuato da Cavell, i seguenti film: Stella Dallas, diretto da King Vidor nel 1937, con Barbara Stanwyck e John Boles; Now, Voyager, diretto da Irving Rapper nel 1942, con Bette Davis e Claude Rains; Gaslight, diretto nel 1944 da George Cukor, con Ingrid Bergman e Charles Boyer; Lettere da una sconosciuta, diretto nel 1948 da Max Ophuls, con Joan Fontaine e Louis Jourdan. Pur essendo un genere adiacente al primo, avendo in comune il tema della "creazione" della donna, il tratto caratteristico del melodramma messo in atto da alcune dive dell'indipendenza femminile come Bette Davis,[16] è che la donna nega o rinnega la possibilità di unione con l'uomo.

Ci sono due possibili modi di occuparsi di questi film e del loro diniego di alcune caratteristiche delle Comedies. Si può sottolineare il tema della disobbedienza (civile), ossia il fatto che le protagoniste di questo genere, portatrici di una femminilità assolutamente anticonvenzionale rispetto a quella delle "cugine" della commedie, condannano la società che impone loro di conformarsi alla prassi consolidata, differendo l'istituzione matrimoniale (e il mondo maschile in genere, da cui queste donne non hanno nulla da imparare). Oppure si può porre un problema di identità, chiedersi cioè se sia possibile costruire una identità senza riconoscimento, ossia se queste donne — che scelgono o finiscono per essere isolate, disconosciute e comunque sconosciute agli altri —, possano mantenere o trasformare la loro identità appunto al di fuori o al di là della relazione interpersonale. Che ne è delle donne che non hanno trovato (o non sono riuscite a sopportare) la ri-unione con l'uomo, o che nessun uomo sembra destinato a educare e completare? È possibile ottenere la propria indipendenza senza ricorrere al riconoscimento rinviatoci dall'altro, dal nostro altro? Ed è possibile costruire una identità sconosciuta non solo perché disconosciuta, ossia funzione del diniego altrui, ma assolutamente sconosciuta — una identità posta al di là di ogni riconoscimento? Sono questi ultimi i problemi e gli interrogativi che raccoglieremo.

VIII. La figura che rappresenta al tempo stesso il paradigma e l'archetipo delle donne misconosciute del melodramma hollywoodiano è certamente Nora Helmer. Nora, che in uno dei momenti più celebri del teatro moderno, chiude un dramma sbattendo la porta dietro di sé. Nel terzo atto di Casa di bambola, come è noto, la protagonista lascia il marito andando alla ricerca di una identità che avverte necessaria ma che sa di non poter ricevere dal marito (solo chi fosse in grado di offrirle questa possibilità formativa può contare come marito). Di cosa è insoddisfatta Nora? Del fatto che non si parla mai della sua relazione o del suo matrimonio con il marito; del fatto che Torvald Helmer non è la persona che la può comprendere, educare, facendola diventare ciò che lei è (e con la quale sarebbe disposta a condividere la vita — ma ci vorrebbe un "prodigio" affinché Torvald riuscisse a trasformare la loro convivenza in una vera ri-unione); del fatto che lui non percepisce fino a che punto lei sia anzitutto una creatura umana, e poi anche una moglie ("bambola") e una madre. A Torvald che le chiede se (si) è cambiata (vestito), Nora risponde di sì, che ha mutato abito (intendendo che è cambiata lei). Nora rifiuta di restare incatenata a quanto già ottenuto — che le appare ora privo di senso ed espressione — in nome (e nella voce) di una identità ottenibile, che ora esprime. La negazione del matrimonio rappresenta ciò che deve essere trasceso attraverso la riscoperta e la deliberata teatralizzazione della propria soggettività, e implica una fiducia e un assegnamento su di sé che si manifesta nel distacco dalla società, nel rifiuto di conformarsi. In breve, le donne del melodramma sono meno ingenue delle loro "cugine"; hanno perso quella cecità sulla propria esistenza che spesso caratterizza le protagoniste delle Remarriage Comedies.

IX. Questo tema ibseniano ritorna in quasi tutti i film del genere. In Stella Dallas, ad esempio, troviamo Stella in crisi con il proprio ruolo, di donna — di ciò che deve imparare per esserlo — e di madre — di ciò che deve insegnare per mantenerlo. Ci appare staccata — e ostacolata — dall'intera comunità, dalla sua brutale (e brutta) famiglia di origine, persino dalla figlia Laurel.[17] La sequenza finale ritrae Stella mentre esce di scena (anche sotto il profilo filmico), non soltanto da una casa e da un uomo, ma dalle conseguenze di un matrimonio che riteneva potesse trasformarla. Come Nora, Stella sa cosa lascia ma non sa — non si sa — verso cosa vada, se non verso un futuro e un compimento. Non quale futuro, ma il senso di avere un futuro, appare decisivo.

In Now, Voyager assistiamo ancora a una metamorfosi, questa volta di Bette Davis, la quale, dopo un periodo di sostegno psicoterapeutico, si trasforma da una zitella di nome aunt Charlotte in una misteriosa e rigenerata Camille Vale. Osservando una foto, Jerry — l'amico vedovo che Camille incontra in crociera — le chiede: chi è questa donna grassa con tutti questi capelli (riferendosi alla zia Charlotte)? "Sono io", risponde la Davis (ormai Camille). Sfruttando la sua straordinaria, quasi "isterica"[18] capacità di aggiustamento somatico, Bette Davis (Charlotte/Camille) ha dunque mutato anche aspetto, come Nora aveva "cambiato pelle" (il suo vestito da ballo).[19]

Un comportamento antitetico — anzi, una reazione — a quella richiesta di riconoscimento/compimento che è tipico delle donne delle Remarriage Comedies, ricorre anche in Gaslight. In questo film i due protagonisti sembrano prigionieri del loro passato, e di una casa perturbante. Lei, Paula (Ingrid Bergman), appare ingenua, predisposta alla dipendenza, quasi avesse bisogno di attaccamenti ossessivi. Lui — Gregory (Charles Boyer), marito di Paula — è figura ambigua, al tempo stesso dotato di quel magnetismo paranoico tipico degli anni totalitari, ma anche figura calcolatrice, capace di trasferire la follia sulla moglie pur di entrare in possesso dei gioielli della zia defunta di Paula (proprietaria della casa, famosa cantante e insegnante di canto della stessa Paula). Ebbene, come fa Gregory a soddisfare la sua sete ossessiva di potere e di possesso portando Paula alla follia? Agendo tanto sul senso di affidabilità della memoria di Paula, ossia derubandola del passato, quanto deprivandola delle parole, delle sue proprie parole — della sua voce: facendola vergognare di ciò che dice, oppure dichiarando non credibile ciò che afferma, o — ancora — incolpandola di una semplice descrizione. Come a mostrare che le parole di Paula non hanno più senso, se non per lei: che non sono più "correnti", ordinarie ("non ho la voce" esclama Paula a un certo punto). Ora, quali sono le condizioni per il ritorno e il recupero della voce di Paula, la voce necessaria per chiudere il legame con il marito e ritrovare una propria identità? Certo, Jospeh Cotton — l'elemento esterno — la salva. Ma questo salvataggio non sarebbe stato possibile se Paula non si fosse fatta risucchiare dal passato identificandosi con la zia, figura mitica da cui Paula sfugge ma è contemporaneamente attratta, come fosse l'ombra di lei. Paula attesta la propria esistenza scoprendo la facoltà di parlare per conto proprio, senza essere più parlata o usurpata dal marito — ma lo può fare dialogando idealmente con la zia, e con la risonanza che l'immagine e il ricordo di quest'ultima può offrire alla sua voce, evitando così di soccombere definitivamente alla follia.

Anche Lisa, in Lettere da una sconosciuta (il quarto e ultimo film di questa variante del genere melodrammatico), si trasforma. Ma non grazie a, o con l'uomo, quanto — diciamo così — privatamente, per lui. Non riuscendo a provare la sua esistenza o la sua identità a Stefan, non riuscendo a esporsi al riconoscimento di lui, per farlo — o forse proprio dato il suo proprio fallimento o inconscio rifiuto a farlo — Lisa cerca di ratificare l'esistenza del "suo" uomo interamente per proprio conto, creando anche se stessa per questo uomo virtuale. Probabilmente è a causa di questa sua autoreferenzialità che Stefano non riconosce Lisa, non la può riconoscere; e la mutualità resta inadempiuta. E forse non è neppure un caso che questa virtualità venga sublimata in un ulteriore e ancora più rarefatto "altro", ossia in Dio. Alla fine del film, scomparendo all'orizzonte, Lisa si trasforma in suora. Una scena che allude alla sua appartenenza a un mondo religioso, abitato solo dalle donne e dagli dei, degli "altri" assenti come referenti ma presenti come interlocutori. Trascendendo l'unione mondana e abbracciando quella divina, Lisa può affidarsi a una fonte di riconoscimento ed evitare il collasso della e nella sua fantasia privata.

X. Dunque le protagoniste di questi film trascendono il matrimonio e il riconoscimento, e anzi conducono una battaglia che non è al servizio dell'avventura del reciproco riconoscimento, ma del suo deliberato differimento, o comunque della comprensione del perché il loro uomo un riconoscimento non glielo ha saputo fornire, o glielo ha negato, o — ancora — perché ha prestato un riconoscimento che, ai suoi occhi, è diventato irrilevante.[20] Riproponiamo adesso la domanda da cui eravamo partiti nell'analizzare questo secondo insieme di film: come è possibile mantenere una identità trascendendo (o prescindendo da) ogni riconoscimento? A questa domanda bisognerebbe rispondere che in effetti le protagoniste del melodramma lo possono fare, ma fino a un certo punto, e comunque sempre al limite della follia. Possono ricrearsi esasperando la propria espressività, ricorrendo a quello che potremmo chiamare un eccesso isterico di espressività, nel senso che la loro teatralizzazione diventa condizione per l'affermazione della propria identità.[21] Oppure possono trascendere ogni riconoscimento reale operando su un altro virtuale o ideale, Quest'ultimo aspetto è segnalato cinematograficamente con una sequenza più lunga del normale, che mostra la protagonista isolata: volge le spalle agli spettatori, o si orienta verso il cielo, o l'oscurità, o si dirige vero un orizzonte che non vediamo... simboli di apertura che alludono sia a uno stato di riflessione, sia alla ricerca di un riconoscimento immaginario. La protagonista non risponde, o non risponde esplicitamente: lascia parlare il silenzio, un silenzio che può esprimere sia l'intensità dell'identificazione assoluta — dunque la libertà dalla parola — sia l'impossibilità di una vita al di là del proprio isolamento. Se è meglio restare sole, se è meglio il rischio della follia alla certezza di una esistenza infelice ed incompiuta con il marito, è anche vero che questa autocostituzione dell'identità è possibile o grazie a surrogati dell'identificazione con l'altro (la figlia, la figlia adottiva, la madre, la zia) o mediante la vocazione religiosa, in virtù, cioè, dell'identificazione con una comunità ideale di riconoscimento.

XI. L'analisi di commedie e melodrammi come due diverse occasioni o metafore per esplorare filosoficamente certi aspetti della condizione umana e dell'esperienza che ne facciamo, può aver generato l'impressione in fondo equivoca di aver istituito una vera e propria opposizione fra elusione e riconoscimento, delusione ed accettazione, isolamento ed amore, indifferenza ed espressività. Per attenuare o ridisegnare tale opposizione un po' convenzionale, e sottolineare quanto il contrasto sia sfumato, si consideri fino a che punto la commedia possa scivolare nel melodramma ed avvicinarsi alla tragedia. Possiamo anche riconoscerci, congiungerci, abbracciarci e ritenere di aver realizzato il sogno dell'unione totale con l'essere amato, ma una mano resta mia, e l'altra tua. Siamo ontologicamente separati. Non è un caso che in alcune commedie, come in It Happened One Night, assistiamo a quella che potremmo denominare una regressione drammatica. Dopo che Gable ha confessato il suo sogno — la sua immagine di vita futura —, la Colbert reagisce, e agisce: aggira la coperta/tenda (vince l'elusione) e getta le braccia al collo di Gable, dichiarando il suo amore. Ebbene Gable — in modo simile a Otello nei confronti di Desdemona — resta colpito, stordito — persino minacciato — dall'incarnazione del suo sogno, della sua Desdemona immaginaria.[22] Egli è spiazzato non perché le sue parole sono state poco efficaci, ma perché sono state fin troppo propiziatorie. Lei è respinta, e per circa mezz'ora il film assume i contorni di un melodramma.

Ma il fatto che il confine fra melodramma e commedia è sottile ha anche una seconda e più cruciale ragione. Il riconoscimento non è un compimento definitivo, che ci immunizza dal timore, dall'elusione, dalla vergogna e dalla vendetta (come chiarisce l'esempio del comportamento di Gable). Allora scopriamo come, anziché favolette, le Comedies toccano un'ansia che è anche nostra, un ansia che puó emergere in ogni situazione di intimità — intesa come situazione che ci confronta con la nostra condizione finita, contrassegnata dalla separatezza e dalla vulnerabilità. Essendo quest'ansia connessa al tentativo di evadere dalla condizione umana e dalle occasioni in cui altri la rivelano, sarà necessario riconvertirci e prendere atto della condizione umana ogni giorno, come compito da realizzarsi quotidianamente, quasi fosse qualcosa di domestico che va rimesso continuamente in ordine. La riscoperta della nostra identità non si configura dunque come un unico viaggio ma, "terapeuticamente", come tanti piccoli tragitti, indotti dalle perdite ripetute e dai ripetuti ritrovamenti di sé attraverso l'altro: una serie di tragitti mediante i quali lo stesso essere-in-due viene a sua volta ripreso e ristabilito, accettato e condiviso. Se c'è qualcosa come una virtù etica dell'intimità, questa sta in tale instancabile reattività nel riportare la trasparenza e nel cercare di restituirci, come individui e come coppia, alla serenità della vita (Cavell [1989], pp. 37-38, 74).

 

Riferimenti bibliografici

Cavell, S. [1971], The World Viewed. Reflections on the Ontology of Film, Harvard University Press, (Enlarged Edition 1979).

Cavell, S., [1979], The Claim of Reason. Wittgenstein, Skepticism, Morality, and Tragedy, N.Y., Oxford University Press.

Cavell, S., [1981], Pursuits of Happiness. The Hollywood Comedy of Remarriage, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, trad. italiana in corso presso Einaudi, Torino, 1999.

Cavell, S., [1989], This New Yet Unapproachable America. Lectures after Emerson after Wittgenstein, Albuquerque (NM), Living Batch Press, trad. it. in D. Sparti (a cura di), Wittgenstein politico, Milano, Feltrinelli, in corso di pubblicazione.

Cavell, S., [1996], Contesting Tears. The Hollywood Melodrama of the Unknown Woman, Chicago, The University of Chicago Press.

Giddens, A. [1992], The Transformation of Intimacy. Sexuality, Love and Eroticism in Modern Societies, Cambridge, Polity Press.

Ibsen, H., [1972], Casa di bambola, Torino, Einaudi.

Kierkegaard, S., [1991], La ripetizione, Milano, Guerini e Associati.

Nietzsche, F., [1968], Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, vol. VI, tomo I.

Sparti, D. [1997], "Scetticismo, riconoscimento, riscoperta dell'ordinario. La filosofia di Stanley Cavell", voce della rubrica Autori, Iride, n. 20.

Sparti, D. [1998]: "Der Traum der Sprache. Cavell, Wittgenstein und der Skeptizismus", Deutsche Zeitschrift für Philosophie, n. 3.

Wittgenstein, L. [1980], Pensieri diversi, Milano, Adelphi.

Wittgenstein, L. [1997], Denkbewegung. Tagebücher 1930-32; 1936-37 (MS 183), Haymon Verlag, Innsbruck, 2 vols., trad. it. Movimento di pensiero, Quodlibet, 1999.

Note:

[1] A titolo di esempio si ricordino le considerazioni di Adorno sui film hollywoodiani come prodotto di intrattenimento ed evasione, nato in concomitanza con la massificazione della cultura allo scopo di amministrare lo svago e fornire ai lavoratori sia una compensazione temporanea per i loro sacrifici sia un luogo immaginario dove scaricare le loro frustrazioni.

[2] Il presente saggio contiene ampie parafrasi di Cavell [1981] e Cavell [1996], due testi che hanno guidato il sottoscritto nell'elaborare le osservazioni riportate. Sul cinema come linguaggio e forma d'arte, si veda anche Cavell [1971]. Su Cavell in generale, mi permetto di rimandare a Sparti [1997] e [1998].

[3] Freud non ha mancato di sottolineare come i secondi matrimoni riescono spesso meglio dei primi, perché nel primo si scelgono surrogati delle figure genitoriali.

[4] Ma si discute anche sulla felicità, sul ruolo di attivo e di passivo nell'unione, sull'essere "vivi", sulla casa.

[5] Quelle che, semmai, vengono mostrate, sono figure/parodie del matrimonio, ossia vedovi e vedove, divorziati, scapoli, zitelle e singles.

[6] L'ostacolo, ripetiamolo, che non è frutto di una proibizione esterna ma intrinseco al matrimonio stesso. Il padre della sposa, ad esempio (figura sempre comprensiva in queste genere di commedie), è solidale con il desiderio della figlia, non sta dalla parte della legge e dell'interdizione. Questa circostanza ribadisce come il tipo di relazione che è in questione difficilmente può essere risolta o definita dall'esterno.

[7] Come Spencer Tracy in Adam's Rib, è Gable che si occupa — e validamente — delle faccende domestiche, magari con un pizzico di paternalismo. Se c'è qualcuno che, in questi film, sa cucinare, è l'uomo, mai la donna, o comunque: mai senza di lui.

[8] Il tema della donna "viva" ritorna nel corso della terza (ed ultima) notte passata in un auto camp cabin. Gable confessa il suo sogno ed il suo ideale di donna alla Colbert: "If I ever met the right girl, I'd — Yeah, but where are you going to find her, somebody that's real, somebody that's alive? They don't come that way any more [...]. Boy, if I could ever find a girl who's hungry for those things" [Gable allude alla vita all'aperto] (citato in Cavell [1981], p. 97).

[9] Il tema della pietra, come è noto, è spesso simbolicamente associato alla negazione della vita: uccido con la pietra, uccido quando ho il cuore duro come pietra, e uccido la tua esistenza — la pietrifico — quando rinnego la capacità di riconoscerti. Anche Otello vede Desdemona come un "sepolcrale d'alabastro", e nel Racconto d'inverno Ermione appare a Leonte sotto forma di statua. L'essere trasformati in pietra è il destino di chi scompare o si sottrae dalla vita, ma nel caso del Racconto d'inverno è anche una risposta indotta dalla negazione di Ermione da parte di Leonte. Solo alla fine Leonte riconosce fino a che punto la pietrificazione della moglie fosse la conseguenza del suo particolare scetticismo, ed è questo riconoscimento che consente ad Ermione di risorgere in carne e ossa.

[10] Forse non è fortuito che la Hepburn cambi deliberatamente il nome della sorella da Diana a Dana, come a dire che il nome della dea della castità deve appartenere a lei.

[11] Se in tutte le grandi opere d'arte è immanente la tendenza a dichiarare o comunque rendere visibile la natura del mezzo attraverso il quale essa si realizza, la dominanza della diva sul personaggio che interpreta — osserva Cavell — segna nondimeno un certo contrasto fra cinema e teatro.

[12] Abbiamo già ricordato la rappresentazione non convenzionale dei ruoli domestici.

[13] Dopo aver riconosciuto più volte "di non essere se stesso", Grant (David) ammette, alla fine, di aver trascorso con la Hepburn (Tracy) le ore più belle della sua vita. Va ricordato, sotto questo profilo, che né Bringing Up BabyIt Happened One Night sono, a rigore, commedie di re-marriage, poiché i due protagonisti non erano ancora sposati. Ciò non toglie che il movimento: attrazione/elusione/discussione/riscoperta di una nuova reciprocità sia ben presente anche in questo film. D'altra parte ciascun film, a suo modo, contiene episodi o scene che rappresentano uno "scarto" rispetto all'omogeneità paradigmatica del genere individuato da Cavell.

[14] In Adam's Rib Cukor ci guida in ogni stanza dell'appartamento dei protagonisti, rendendoci a tal punto spettatori di una intimità domestica da trasformarci — per così dire — in partecipanti, la cui presenza in quella casa diventa quasi naturale.

[15] Altri segnali di questa "impurità" sono, in His Girl Friday, la corruzione politica e il cinismo dominanti, il buio della metropoli moderna; in The Awful Truth la sfiducia, lo scandalo, la gelosia e l'incessante pettegolezzo di

una suocera in fieri; in The Philadelphia Story la pretenziosità, l'alcolismo e la frigidità.

[16] Ma anche Marlene Dietrich o Greta Garbo — con i suoi famosi sguardi che "attraversano" l'uomo, come a segnalare che se quell'uomo è l'occasione della sua passione, non ne è certo la causa.

[17] Nel corso del film Stella scopre possibile affidare la figlia Laurel alla nonna, ossia a sua madre, e questa scoperta rende la madre di Stella al tempo stesso la sua propria madre — quella madre che Stella non aveva mai avuto —, e la persona da cui riceve, in ritorno, l'autorizzazione a interpretare il suo ruolo di madre — e di donna — nei termini che le si confanno (è degno di nota che nei Melodramas, a differenza delle Commedies, le protagoniste agiscono in presenza di una madre e sono a loro volta madri). Il "dono" della figlia, benché impegnativo, non rappresenta l'emblema del sacrifico, ma è semmai il contrassegno di una emancipazione. Prima che sopraggiunga la sequenza finale del film, infatti, Stella cerca attraverso una finestra il volto della figlia. E il suo non è lo sguardo del compianto, lo sguardo materno, poiché la figlia che scopre — in procinto di sposarsi — è già quasi madre a sua volta (nel corso del film si vede Laurel occuparsi maternamente della propria madre). Come a dire: la maternità si può trasmettere e trasferire, i ruoli femminili possono sfumare gli uni negli altri, a differenza della paternità (il figlio che si occupa "paternamente" del padre sembra trascendere sia il proprio ruolo di figlio che quello di padre).

[18] Seguendo la linea interpretativa freudiana, l'isteria può essere intesa come la reazione all'amore impossibile, o anche all'impossibilità di accettare un amore, nonché — sottolinea Cavell — come la correlativa capacità o tentativo di inscenare la propria soggettività manifestando il proprio corpo — il corpo di espressioni che sono proprie di una persona. Sotto questo profilo l'isterica può essere gelosamente desiderata dall'uomo.

[19] Jerry aiuta Camille a fuoriuscire dal destino di una vita reietta nella quale l'aveva gettata la madre (che la considerava soltanto un "brutto anatroccolo"), e per questo lei gli è infinitamente grata. Camille, d'altra parte, vede anche le limitazioni di quest'uomo pieno di tatto, garbato e tuttavia ben lontano dal rappresentare una fonte di riconoscimento per lei. Come "compenso", Camille accetterà di occuparsi della figlia di Jerry, ossia di completare la propria metamorfosi, di ricrearsi, mediante una relazione forse non tradizionale, ma che nessun matrimonio può rimpiazzare.

[20] L'uomo dei Melodramas appare quasi sempre incapace di essere all'altezza della donna, di tenerle testa, di trattenerla. In Lettere da una sconosciuta, l'uomo è totalmente assorbito in sé; in Now, Voyager è marginale ed irrilevante; in Gaslight, violento, ossessivo e di vecchio stampo.

[21] Sotto questo profilo possiamo pensare a Cleopatra nel finale della tragedia shakespeariana Antonio e Cleopatra. Seppure in modo allegorico (Antonio è ormai morto), è Cleopatra che — prima di uccidersi, pensando alla sua sorte di prigioniera trasportata a Roma —, immagina di offrire pubblicamente se stessa, inventando e inscenando una nuova forma, mistica ed autoerotica, di unione ("Marito, io vengo..."). Attraverso questa cerimonia che chiude la tragedia, Cleopatra si mette in atto, si crea — o forse immagina di farlo — come donna ("non sono altro che una donna", IV, XV, 72), teatralizzandosi e presentandosi ad Antonio (al suo spirito, al suo ricordo) come un mondo, un mondo per lui e per la sua — la loro — esistenza.

[22] Sull'interpretazione filosofica di Otello, cfr. Cavell [1979], parte IV.

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