19/1999
Studi di Estetica
III serie
anno XXVII, fasc. I
Giovanni Peternolli
Caspar
David Friedrich e la pittura cinese
Studiando l'opera di
Caspar David Friedrich sono rimasto colpito dalle
analogie esistenti fra le concezioni pittoriche
dell'artista tedesco e quelle tradizionali cinesi.
Afferma ad esempio Friedrich:
L'unica autentica
fonte dell'arte è il nostro cuore, il linguaggio di
un animo puro e infantile. Un'opera che non
scaturisca da questa fonte può essere solo
artificio. Ogni vera opera d'arte viene concepita in
un'ora sacra e nasce in un'ora felice, il più delle
volte senza che l'artista ne abbia coscienza, da un
intimo impulso del cuore.[1]
Alcune
espressioni di questo testo mi hanno fatto venire in
mente l'iscrizione che Tang Hou, teorico dell'arte del
XIV secolo, ha apposto su un rotolo orizzontale di Wang
Tingyun (1151-1202), raffigurante un vecchio albero
coperto di muschio e di licheni accostato a un bambù. Al
commento in prosa, in cui Tang Hou afferma fra l'altro
che "il pittore ha voluto semplicemente esprimere un
istante di giubilo interiore", segue questa poesia:
Mostra il tuo cuore[2] senza riserva
E il tuo pennello sarà ispirato.
Scrivere e dipingere hanno uno scopo comune,
La rivelazione della bontà interiore.
Ecco due compagni
Un vecchio albero e un alto bambù
La mano che li ha tracciati liberamente li ha
trasformati;
L'opera è stata compiuta in un istante.
L'incarnazione di un momento unico,
Costituisce il tesoro di cento epoche,
E si prova, nello svolgere questo rotolo, un
sentimento
di tenerezza,
Come nel vedere il creatore stesso."[3]
Il dipinto e il commento
appartengono entrambi alla tradizione dei letterati
cinesi, nelle cui teorie al pittore professionista che si
limita a riprodurre le apparenze formali esteriori della
realtà viene contrapposto il vero artista per il quale
l'esecuzione materiale di una pittura è il frutto
spontaneo di una visione spirituale anteriore.
Questa è anche una delle convinzioni fondamentali di
Friedrich che ad esempio consiglia:
Chiudi il tuo occhio
fisico così da vedere l'immagine principalmente con
l'occhio dello spirito. Poi porta alla luce quanto
hai visto nell'oscurità, affinché si rifletta sugli
altri, dall'esterno verso l'interno.[4]
L'artista, in questo passo
come in quello citato in precedenza, utilizza un
linguaggio con inflessioni mistiche, estranee alla
tradizione cinese, ma il concetto fondamentale è lo
stesso. Anche il pittore cinese si serve di elementi
desunti dal mondo esterno per comunicare agli altri la
sua visione interiore, per esprimere la natura più
profonda della sua personalità. Di fatto in Cina la
critica d'arte non analizza le opere da un punto di vista
esclusivamente formale ma mira a comprendere la
personalità degli artisti, a interpretare gli impulsi
spirituali ed emotivi che sono all'origine dei loro
dipinti, una tendenza, questa, che trova numerosi
riscontri negli scritti di Friedrich. Il pittore ad
esempio afferma categoricamente:
Sì, sì! È proprio
così: quello che l'artista, o l'uomo, è nella vita
e nella società, lo è anche nei suoi quadri o nelle
sue opere.[5]
E in un
altro passo:
Questo quadro è
sostanzialmente uno studio del carattere del suo
autore, giacché in ogni sua azione l'uomo esprime
sé stesso, spiritualmente e moralmente.[6]
In un brano probabilmente
autoreferenziale Friedrich afferma:
Le opere di XX
meritano plauso solo in quanto pensieri, e la sua
pittura ha un alto valore non per l'abilità manuale,
ma perchè da essa si irradia un'anima bella, un
sentimento profondo e devoto. I suoi quadri non si
addicono a una collezione ma a una piccola stanza
silenziosa.[7]
Dalle testimonianze
scritte e dai dipinti dei contemporanei e dello stesso
artista noi sappiamo che Friedrich lavorava in un
ambiente di una semplicità monastica, privo di qualsiasi
decorazione e persino degli oggetti necessari alla
creazione artistica. Il mobilio era limitato a un tavolo,
a una sedia, al cavalletto. Nulla doveva distogliere il
pittore dalla sua concentrazione spirituale, nulla doveva
distrarlo al momento di dar forma alle sue visioni
interiori.
Anche per molti artisti cinesi abbiamo la testimonianza
dell'importanza da essi attribuita alle condizioni di
calma, di concentrazione, di purezza ambientale, propizie
all'atto creativo. D'altra parte l'abitudine
estremo-orientale di estrarre le pitture dalla loro
custodia solo al momento in cui se ne prende visione
sembra corrispondere a una esigenza profonda dell'artista
tedesco che dichiara:
Produce un effetto
sfavorevole su di me vedere molti quadri esposti o
ammassati come merce, in una sala o in una stanza,
dove il visitatore non ha la possibilità di
osservarne uno singolarmente senza vederne al
contempo altri quattro a metà.[8]
Lo stesso concetto è
riaffermato in modo ancora più esplicito:
Io sono contrario a
riunire opere d'arte in un unico luogo. Può essere
utile all'artista praticante, ma disturba
l'osservatore sensibile.[9]
L'esigenza di concentrare
la propria attenzione su un unico oggetto si estende
anche al mondo della natura. Nello stesso passo appena
citato Friedrich infatti osserva:
Ogni fiore, ogni filo
d'erba, considerato in sé appare degno d'ammirazione
ed è bello. Ma in un giardino ove siano tutti
riuniti, si danneggiano l'un l'altro gareggiando in
forme, colori e profumi.[10]
Anche in
questo caso la sensibilità estetica di Friedrich appare
molto vicina a quella estremo-orientale. Si pensi ad
esempio alla consuetudine giapponese di decorare la
stanza della cerimonia del tè con un unico fiore,
sufficiente a evocare la stagione e tutta la realtà
naturale. Per Friedrich il divino, cioè l'anima della
natura, si ritrova dappertutto, persino nel più umile
granello di sabbia. Nel suo saggio incompiuto Dei
rapporti fra le Belle Arti e la Natura, apparso nel
1807, Friedrich afferma:
L'artista deve seguire
lo spirito della Natura che è all'opera nel cuore
stesso delle cose ed esprimersi tramite la forma e il
disegno solo come se si trattasse di simboli.[11]
Anche per il pittore
cinese lo scopo supremo è quello di esprimere nelle sue
opere il Qi, cioè l'afflato spirituale sotteso a
tutti i fenomeni naturali. Solo che in Cina non vi è
contrapposizione fra materia e spirito. La visione
dicotomica occidentale che oppone anima e corpo, uomo e
natura, è estranea al modo di pensare cinese che
concepisce un universo in costante trasformazione,
costituito da elementi opposti ma complementari,
interagenti fra loro. Questa visione dialettica, fondata
sulla bipolarità degli elementi, è presente anche nel
termine che in Cina indica la pittura di paesaggio e
cioè Shan Shui (montagna e acqua). Ritroviamo in
questo termine il simbolismo cosmologico cinese che in
tutti i fenomeni naturali vede l'originaria opposizione
complementare dello Yin (in questo caso l'acqua) e
dello Yang (la montagna).
Dal punto di vista della storia dell'arte la grande
rivoluzione della pittura di paesaggio in Cina si attua a
partire dal X secolo. Da una visione di tipo descrittivo
e analitico si passa a una visione unitaria e coerente,
ottenuta con l'eliminazione progressiva dei colori e con
la creazione di una superficie pittorica animata e
vibrante, grazie alla varietà e alla complessità delle
pennellate e alla ricchezza tonale dell'inchiostro. Le
opere dei maggiori artisti del X e dell'XI secolo hanno
un carattere nel contempo visionario e realistico. Essi
vivevano a stretto contatto con la natura, studiandone a
fondo gli aspetti geologici, tettonici, atmosferici. La
profonda conoscenza del paesaggio della Cina
settentrionale, con le sue grandiose montagne scoscese, i
suoi torrenti, le cascate, le foreste lussureggianti, e
nel contempo la convinzione dell'esistenza di un ordine
fondamentale soggiacente alle forme naturali, hanno
portato alla creazione di una pittura di paesaggio che si
colloca ai vertici della storia dell'arte universale.
Il capolavoro più straordinario è costituito
probabilmente da un dipinto dell'inizio dell'XI secolo,
intitolato Viaggio fra torrenti e montagne. Si
tratta dell'unica opera attribuibile con certezza a Fan
Kuan, un artista di convinzioni taoiste vissuto a lungo
fra le montagne, in profonda comunione con la natura. A
proposito di quest'opera James Cahill, il maggior
studioso occidentale vivente di pittura cinese, afferma:
La composizione è di
una audace semplicità: essa è serena; essa ignora
effetti e artifici. È una visione alla quale non si
può resistere; davanti ad essa le questioni di
oggettività o di soggettività, di ricerca o di
rifiuto della somiglianza non hanno più senso. Il
mondo dipinto non riflette l'universo fisico né lo
investe di un'interpretazione umana: esso possiede al
contrario una esistenza propria.[12]
Forse per nessun'altra
pittura di paesaggio l'aggettivo "sublime"
appare altrettanto appropriato. La composizione
accentuatamente verticale, la superficie rugosa delle
rocce, rese con innumerevoli pennellate del tipo definito
"a gocce di pioggia", che suscitano una
impressionante sensazione tattile, fanno venire in mente
le seguenti affermazioni di Burke:
Una perpendicolare ha
maggior potere di produrre il sublime che un piano
inclinato e l'effetto che produce una superficie
scabra e accidentata sembra maggiore di quello
suscitato da una superficie liscia e levigata.[13]
Secondo
Burke lo stupore è l'effetto del sublime nel suo più
alto grado, mentre altri effetti sono l'ammirazione, la
riverenza, il rispetto. A questo proposito mi ricordo
della reazione di uno studente giapponese di storia
dell'arte che di fronte all'opera di Fan Kuan, esposta al
Museo Nazionale di Taipei, mi ha raccontato di aver
provato un senso di smarrimento, di essersi sentito
piccolo, limitato e di aver mormorato quasi
inconsapevolmente Sumimasen (chiedo scusa).
Rispetto alla gigantesca montagna che si erge fino a
raggiungere quasi il limite superiore della pittura, i
viaggiatori che seguono il sentiero lungo il corso
d'acqua, originato dalla cascata che solca
perpendicolarmente la parete a strapiombo, appaiono poco
più grandi di formiche. Ma se questo da un lato ci
suggerisce la piccolezza dell'uomo in un contesto
naturale di ampiezza cosmica, dall'altro avvertiamo la
profonda analogia esistente fra questo universo regolato
da un ordine superiore e l'intelletto umano che lo ha
concepito.
Nella concezione profondamente umanistica cinese l'uomo
occupa una posizione altissima di mediatore fra il cielo
e la terra e la montagna si colloca al punto d'incontro
di questi due elementi. Anche nella concezione cristiana
dell'universo l'uomo occupa una posizione centrale, ma la
mediazione fra il mondo divino dell'assoluto e quello
umano è operata dalla figura di Cristo. In uno dei
quadri più celebri di Friedrich, tradizionalmente
intitolato L'altare di Tetschen, il tema della
mediazione cristologica è associato a quello della
montagna. Fin dal
suo apparire l'opera è stata considerata rivoluzionaria
ed è stata oggetto di un appassionato dibattito fra i
suoi sostenitori e i suoi detrattori. Il più importante
fra questi ultimi, il critico d'arte Ramdohr, sostenitore
di una concezione classica della pittura di paesaggio, in
pagine di grande acume e intelligenza analizza gli
aspetti iconografici, simbolici e formali dell'opera.
Ramdohr, fra l'altro, critica il tipo di prospettiva
contraddittoria adottato da Friedrich. Infatti, se da un
lato la raffigurazione della montagna presuppone un punto
di osservazione basso, che obbliga l'osservatore a
sollevare lo sguardo, la raffigurazione del crocefisso
illuminato dai raggi del sole al tramonto presuppone
invece un punto di osservazione più elevato. Abituato
alla tradizione rinascimentale di un unico punto di fuga
prospettico, Ramdohr avverte nel quadro di Friedrich un
senso di incoerenza e di disagio. La pluralità dei punti
di osservazione all'interno della stessa opera
costituisce di fatto una delle novità più
rivoluzionarie introdotte da Friedrich nella pittura di
paesaggio. È interessante osservare come tale pluralità
corrisponda a una convenzione plurisecolare dell'arte
cinese. Si consideri ad esempio la pittura di Fan Kuan
sopra ricordata: se la raffigurazione dell'immensa parete
di roccia a strapiombo implica una visione dal basso,
quella della vegetazione alla sua sommità presuppone
invece un punto di osservazione molto più elevato. La
compresenza di punti di osservazione diversi consente
all'artista e allo spettatore di spostarsi continuamente
all'interno della superficie pittorica, conferendo alla
raffigurazione il carattere di un'esperienza visiva
dinamica.
Nella
tradizione occidentale la pittura di paesaggio è
normalmente delimitata dalla cornice. In Estremo Oriente
il formato dei rotoli, in particolare di quelli
orizzontali, consente alla pittura di paesaggio di
svilupparsi con continuità, raffigurando panorami
amplissimi, in cui montagne, valli e fiumi si estendono a
perdita d'occhio. Friedrich, che avvertiva nell'infinità
degli spettacoli naturali la presenza del divino, pur
restando inevitabilmente legato ai formati chiusi della
tradizione occidentale, ha violato gli schemi classici
della pittura di paesaggio, abolendo le quinte laterali,
costituite di solito da edifici o da gruppi di alberi.
L'artista ricorre sia a linee parallele orizzontali che
invitano l'immaginazione a superare i limiti della
cornice sia alla compresenza in una stessa opera di punti
di osservazione diversi, privilegiando la veduta
dall'alto, a volo di uccello, tipica della tradizione
estremo-orientale.
Anche dal punto di vista tematico esistono sorprendenti
analogie tra la pittura cinese e quella di Friedrich. Ad
esempio i temi del Wanderer e del viaggio compiuto
in seno alla natura, così cari alla cultura romantica,
sono allo stesso tempo fra i temi più popolari della
tradizione pittorica dei Song meridionali
(1127-1269). Cahill suddivide in quattro categorie questo
tipo di raffigurazione: 1) il romitaggio; 2) la partenza;
3) un momento di pausa per godere delle sensazioni e
degli stimoli naturali; 4) il ritorno a casa.
Quest'ultimo tema, fondamentale nella poesia dell'epoca Tang
(618-906), contiene in sé il valore metaforico di un
ritorno a ciò che è fondamentale e naturale.[14] Anche nell'opera di Friedrich è
frequente il tema del ritorno alla propria dimora, di
solito una città che si intravede sullo sfondo in
controluce. Nell'artista tedesco però il ritorno alla
città ha il significato simbolico di un ritorno alla
città celeste, cioè alla vera patria dell'uomo, giunto
al termine del suo viaggio terreno.
Fra le opere che possono rientrare nella seconda
categoria individuata da Cahill la più straordinaria è
una pittura di Liang Kai, un artista del XIII secolo che,
abbandonato l'ambiente dell'Accademia Imperiale, era
diventato un monaco chan. Essa raffigura due
viaggiatori a cavallo, con il capo coperto da un
colbacco, diretti verso un passo che si intravede in alto
in una gola fra due montagne. La composizione è
stupenda: i due personaggi umani, dipinti in scala
ridotta vengono riecheggiati da due grandi alberi spogli
che a loro volta vengono riecheggiati dalle due montagne.
Con pochissimi elementi l'artista rievoca il rigore, la
solitudine di un remoto paesaggio montano invernale, e
nello stesso tempo ci fa sentire l'unità profonda che
lega tutti gli aspetti del creato.
Gli artisti chan, con una estrema economia di
mezzi, associata a una sovrana padronanza dell'illimitata
ricchezza di sfumature dell'inchiostro, hanno creato
alcuni dei paesaggi più suggestivi della storia della
pittura cinese, in cui il carattere illusorio e
impermanente del mondo fenomenico è simboleggiato
dall'aspetto labile ed evanescente conferito alle forme
naturali. L'esempio estremo è costituito probabilmente
da una delle otto vedute della regione dello Xiao Xiang
attribuite a Mu Qi, un monaco del XIII secolo,
considerato in Giappone come uno dei pittori più grandi
di tutti i tempi. L'opera, intitolata Campana serale
di un tempio raffigura degli alberi in parte
scheletriti e i tetti di alcune case e di un tempio
buddista dall'aspetto fantasmatico, che emergono da una
folta nebbia, simbolo del vuoto, considerato in Cina come
l'elemento fondante della realtà.
La raffigurazione più impressionante del vuoto nella
pittura occidentale è probabilmente il Monaco in riva
al mare di Friedrich, che in quest'opera porta alle
estreme conseguenze la sua tendenza a rappresentare
l'immensità di un paesaggio per mezzo di linee parallele
orizzontali. L'unico elemento verticale è costituito
dalla minuscola figura del monaco, la cui presenza non fa
che rendere più intenso il senso di desolata solitudine
di questa marina nordica. Se la composizione
accentuatamente orizzontale e la radicale riduzione della
pittura a pochi elementi fondamentali possono ricordare
l'opera di Mu Qi, il senso di un angoscioso cupio
dissolvi, l'anelito ad un ricongiungimento con il
tutto che passa inevitabilmente attraverso la morte è
invece tipicamente romantico.
Tornando
alla classificazione proposta da Cahill, fra le opere
più significative che rientrano nella categoria della
sosta durante il viaggio, vi è una serie di pitture
sulle quattro stagioni del XIII secolo, di cui è andata
smarrita la primavera. In quella che evoca l'estate è
raffigurato un viandante, visto di spalle, in atto di
attraversare un torrente in una gola montana, investito
da violente raffiche di vento e di pioggia. Più che
lottare contro gli elementi il viandante sembra quasi
godere del sibilo del vento, dello scroscio del torrente,
della sua esperienza di un coinvolgimento diretto nelle
forze scatenate della natura. La tempesta rientra nelle
realtà considerate sublimi, realtà che hanno ispirato a
Kant le seguenti riflessioni:
l'impossibilità di
resistere alla potenza naturale ci fa conoscere la
nostra debolezza fisica ma ci scopre
contemporaneamente una facoltà di giudicarci
indipendenti dalla natura, ed una superiorità che
abbiamo su di essa.[15]
L'opposizione uomo-natura,
tipica della tradizione di pensiero occidentale è agli
antipodi della concezione cinese, che può essere
sintetizzata nella celebre affermazione attribuita a
Zhuangzi, pensatore taoista del IV secolo avanti Cristo:
"Il cielo e la Terra e io viviamo insieme, le
diecimila creature e io siamo l'Uno".[16]
Nel paesaggio autunnale è raffigurato un viaggiatore che
riposa sotto un pino, osservando due gru che volano nel
cielo serale. Il pino, presente anche nella pittura
dell'estate, possiede in Cina una complessa valenza
simbolica: ad esso sono associate idee di longevità, di
resistenza alle intemperie grazie alla sua caratteristica
di restare verde anche durante i rigori invernali. Dal
punto di vista simbolico esso presenta qualche analogia
con gli abeti di Friedrich, alberi sempreverdi
considerati simboli del messaggio perenne del
cristianesimo, spesso contrapposti alla quercia spoglia,
simbolo del mondo pagano e dei suoi valori superati. Un
confronto fra il ruolo e il significato assunto dagli
alberi nell'arte occidentale e in quella cinese sarebbe
di grande interesse e potrebbe condurre a dei risultati
stimolanti e inaspettati. In Cina, fin dai tempi più
antichi, gli alberi, e in particolare quelli che recano
la testimonianza del passaggio del tempo e delle
condizioni avverse in cui sono cresciuti, sono stati
assunti a simbolo dell'uomo. Raffigurando gli alberi
l'artista cinese era cosciente di dipingere il proprio
autoritratto spirituale ed è in tal senso che questo
tipo di pittura veniva interpretato anche dai suoi
fruitori.[17]
L'ultimo rotolo della serie delle quattro stagioni
raffigura un viaggiatore, vestito in modo pesante per
proteggersi dai rigori dell'inverno, che si arresta per
ascoltare il grido di due gibboni arrampicati su un
albero sospeso su una cascata. Esiste una lunga
tradizione poetica in Cina che associa al grido di questa
scimmia sentimenti di struggente malinconia: abitante
delle foreste più impenetrabili, difficilmente visibile,
il gibbone incarna valori taoisti quali la vita
solitaria, la libertà, la comunione con le energie
vivificatrici della natura.[18] In questa serie l'artista dimostra una
straordinaria padronanza tecnica del pennello e
dell'inchiostro, la capacità di evocare l'atmosfera
caliginosa di una piovosa giornata estiva, con effetti
luministici degni di Turner, l'aria limpida di una
giornata invernale in cui gli oggetti si stagliano
nitidi, il senso di immensità di un cielo autunnale,
accentuato dalla presenza di minuscole nuvole leggere.
In tutte e tre le pitture il personaggio del viandante è
presentato di spalle, e, come le Rückenfigure dei
quadri di Friedrich, ha la funzione di mediare la nostra
visione del paesaggio. Da questo punto di vista le
analogie esistenti fra le pitture dei Song meridionali e
quelle dell'artista tedesco sono veramente sorprendenti.
Non si tratta ovviamente, in questo come negli altri casi
ricordati, di un problema di influenze, ma di una
comunanza estetica e spirituale fra due culture,
lontanissime nel tempo e nello spazio, eppure per molti
versi inaspettatamente vicine.
Vorrei concludere confrontando due opere, rispettivamente
di Wang Lü (1332-1391?) e di Friedrich, che raffigurano
l'esperienza di una ascensione in montagna. Fin
dall'epoca Song la precettistica artistica cinese insiste
sulla necessità per il pittore di viaggiare e di
studiare dal vivo i luoghi naturali più belli, in
particolare le montagne. E di fatto la maggior parte dei
pittori cinesi ha compiuto lunghe peregrinazioni in seno
alla natura. Nel 1381, a cinquant'anni di età, il medico
e pittore Wang Lü intraprese l'ardua scalata del monte
Hua, meta fin dai tempi più antichi di pellegrinaggi
taoisti. Malgrado l'età avanzata e il rischio
dell'impresa, Wang Lü ascese la celebre montagna con uno
spirito non religioso ma scientifico ed estetico, per
osservarne direttamente i paesaggi meravigliosi ed
entrare in una profonda comunione con essa. Nella
prefazione all'album, comprendente 40 pitture, 150 poesie
e il resoconto delle sue peregrinazioni sul monte Hua,
l'autore afferma:
Le pitture trasmettono
lo spirito del monte Hua; il resoconto di viaggio
ricorda quanto è successo e le poesie esprimono i
miei sentimenti. Non potevo accontentarmi di
peregrinare sul monte Hua, dovevo anche preservarne
la memoria in questi tre modi.[19]
Più tardi quando gli si
chiese da chi avesse imparato a dipingere con uno stile
così personale, Wang Lü rispose:
Il mio maestro è la
mia mente; il suo maestro sono i miei occhi e il loro
maestro il monte Hua. Questo è tutto.[20]
Nella pittura che
raffigura la vetta del Dragone azzurro l'artista ha
rappresentato la cima di una catena montuosa coperta da
boschetti di pini nani che emergono dalle nuvole. A
sinistra del centro è visibile la minuscola figura
dell'artista seduto, visto di spalle, in atto di
contemplare il mare di nuvole da cui è appena emerso
nella sua ascensione. La scala ridotta del personaggio
comunica una sensazione di vastità illimitata. Nel suo
straordinario resoconto dell'ascensione, in cui si
fondono osservazioni scientifiche, considerazioni
filosofiche ed esperienze estetiche Wang Lü descrive
l'improba fatica fisica della scalata, la tensione
volitiva che lo spinge a salire sempre più in alto,
l'emozione per la grandiosità impareggiabile dei
paesaggi. Nel passo corrispondente al foglio d'album
esaminato, l'artista, dopo essersi appoggiato ad un
albero per riposare, osserva:
Proprio allora le
nuvole cominciavano a muoversi spinte dal vento. Che
avanzassero o si ritirassero, che si aprissero o si
chiudessero esse sembravano di volta in volta
addensarsi e disperdersi. Andando e venendo alla
sommità dei quattro picchi, le nuvole continuavano a
muoversi e a sfilacciarsi. Ero rapito, dimentico del
motivo per cui ero lì. Tuttavia le guide non avevano
dimenticato. Mi dissero di affrettarmi, poiché la
vetta occidentale era ancora lontana e non c'era
tempo da perdere. Così mi alzai e continuai il
tragitto.[21]
L'opera
di Friedrich è il celebre Viandante sul mare di
nebbia, del 1818. Dal punto di vista della struttura
del paesaggio la pittura presenta numerose analogie con
quella di Wang Lü: in primo piano abbiamo il personaggio
che ha raggiunto la cima rocciosa. Davanti a lui altre
cime rocciose, coperte di una rada vegetazione, emergono
dalle nuvole e dalla nebbia. Sullo sfondo appare una
montagna più elevata. A differenza della pittura cinese
però qui il viandante costituisce il centro focale della
composizione, per cui tutti gli elementi convergono su di
lui, conferendo all'opera una eccezionale compattezza
formale e una profonda tensione spirituale. Mai come in
questa pittura il paesaggio appare una emanazione del
soggetto che lo guarda. Secondo una tradizione
interpretativa accreditata, il viandante raffigurerebbe
un certo Brincken, morto nel 1813-14, nel corso della
guerra prussiana contro Napoleone. L'uomo è emerso dal
mare di nebbia, simbolo degli errori e degli smarrimenti
della vita umana e sta saldamente in piedi sulla roccia,
simboleggiante la fede, osservando la montagna lontana,
simbolo di Dio. Questo tipo di interpretazione che
attribuisce ad ogni elemento della pittura un valore
simbolico è legittimato dalle interpretazioni che lo
stesso Friedrich ha dato di alcune sue opere, ma finisce
con il privare la pittura della sua immediata
suggestione, del suo carattere di esperienza spirituale,
alla quale l'artista ci invita a partecipare. Di fatto
l'ascensione di una montagna, in Occidente come in
Oriente, è metafora di una elevazione in primo luogo
spirituale, e come tale è sentita e raffigurata sia da
Friedrich sia da Wang Lü.
Malgrado le fondamentali differenze che separano
l'Occidente dalla Cina, in epoca romantica si assiste
alla nascita di una cultura filosofica, letteraria e
artistica che presenta più di una affinità con la
tradizione culturale dell'Estremo Oriente, grazie alla
nuova consapevolezza degli stretti rapporti che uniscono
l'uomo alla natura e dell'afflato unitario sotteso alle
diverse manifestazioni del mondo fenomenico. E di questa
affinità il pensiero e l'opera di Caspar David Friedrich
costituiscono una delle testimonianze più alte e
significative.
Note:
[1] C.D. Friedrich, Scritti
sull'arte, Milano, Società Editoriale, 1989, pp.
23-24.
[2] In cinese il carattere Xin
comprende simultaneamente il significato di cuore e di
mente.
[3] Cfr. J. Cahill, La peinture
chinoise, Genève, Skira, 1960, p. 95. La traduzione
dal francese è nostra.
[4] C.D. Friedrich, Scritti
sull'arte, cit., p. 24.
[5] Ibid., p. 15.
[6] Ibid., pp. 35-6.
[7] Ibid., p. 31.
[8] Ibid., p. 11.
[9] Ibid., p. 30.
[10] Ibid.
[11] C.D. Friedrich, Paysage au
temps de l'oubli, par Maurice Guillaud, Paris / New
York, Guillaud Editions, 1991, p. 7. La traduzione dal
francese è nostra.
[12] J. Cahill, La peinture chinoise,
cit., p. 34. La traduzione dal francese è nostra.
[13] E. Burke, Inchiesta sul Bello e
sul Sublime, trad. G. Miglietta, a cura di G. Sertoli
e G. Miglietta, Palermo, Aesthetica, 1992, p. 97.
[14] J. Cahill, The lyric Journey.
Poetic Painting in China and Japan, Cambridge, Mass.,
Harvard University Press, 1996, pp. 57-72.
[15] Estetica di Immanuel
Kant, a cura di R. Assunto, Torino, Loescher, 1971,
pp. 95-6.
[16] Chuang-tsu, ovvero il
vero libro di Nan-Hua, in Testi Taoisti,
traduzione dal cinese di F. Tomassini, introduzione di L.
Lanciotti, Torino, UTET, 1987, p. 362.
[17] Wintry Forests, old Trees. Some
Landscape Themes in Chinese Painting, by R. Barnhart,
Oct. 26, 1972, through Jan. 28, 1973, China House
Gallery, China Institute in America, 1972, pp. 7-27.
[18] Van Gulik ha dedicato un saggio
appassionante al gibbone in Cina, affrontando il tema da
un punto di vista linguistico, scientifico, letterario e
artistico. Cfr. R.H. Van Gulik, The Gibbon in China.
An Essay in Chinese Animal Lore, Leiden,
Brill, 1967, passim.
[19] Cfr. K.M. Liscomb, Learning
from Mount Hua. A Chinese Physician's Illustrated Travel
Record and Painting Theory, Cambridge, University
Press, 1993, p. 11. La traduzione dall'inglese è nostra.
[20] Ibid., p. 62.
[21] Ibid., p. 29.
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