17/1998
Studi di Estetica
III serie
anno XXVI, fasc. I

Paolo Bagni
Letteratura e linguaggio:
difficoltà del metalinguaggio
* 

 

 

I. Le difficoltà proprie di un'ipotesi di metalinguaggio della letteratura (sempre che non accetti di essere radicalmente eteronomo, quale una "sociologia della letteratura", ma pretenda una sua specifica autonomia) in generale si radicano nella complessità delle relazioni tra lingua e letteratura; già la semplice e abituale formula "linguaggio letterario" mostra, non appena se ne tenti l'impiego, il costante intreccio di almeno due motivi, non riducibili l'uno all'altro: da una parte, un punto di vista sulla letteratura in quanto parte della lingua, dall'altra, la metafora della letteratura come linguaggio.

Né sembra che le difficoltà possano venir rimosse attraverso un affinamento di apparati, di procedure descrittive: sembra piuttosto appartenere al nostro tempo l'esperienza della relazione fra letteratura e linguaggio nella figura, nella fisionomia di un problema, al limite, di un'antinomia. Con il pathos di un'emblema, si rammenti Ein Brief di Hofmannsthal, dove l'esaltazione ottocentesca del progetto di scrivere si rovescia nella propria radicale corrosione, producendo una reciproca estraneità tra letteratura e linguaggio che ammutolisce entrambi. In ogni caso, appartiene a questo crinale fra Otto e Novecento l'urgenza di attraversare un discorso sulla letteratura con una riflessione sul linguaggio, quasi che scrivere sia non solo usare il linguaggio, ma "stare di fronte" al linguaggio.

 

II. Un buon esempio - che convoglia risorse di una cultura di fine Ottocento (psicologia, semantica, Nietzsche e il simbolismo, ...) per la rivendicazione dell'irriducibile incommensurabilità dell'individuo, delicata e complessa organizzazione del vivente - si ha nelle riflessioni di R. de Gourmont sullo stile, riflessioni situate nella consapevolezza che far la cosa "letteratura" con la cosa "lingua" non è più altrettanto naturale quanto per il baco far la seta... Dentro alla letteratura, ormai, nella tradizione che essa instaura di sé, si mostra in tutta la sua forza una pressione erosiva del linguaggio, che tritura l'invenzione del nuovo sino ad annullarlo in un cliché impronunciabile. E, purtuttavia, se questa forza del linguaggio, attiva nella tradizione della letteratura, inesorabilmente converte il nuovo in cliché, un'altra energia del linguaggio continua a trattenere la possibilità del nuovo nelle parole stesse, nel segreto del loro organismo, nelle più belle immagini, "opera secolare dell'istinto",[i] conservate nelle parole di ogni giorno.

Insomma, quando in letteratura la tradizione letteraria erode il nuovo per depositarne cliché, occorre interrogare nel linguaggio i luoghi che consentano la restituzione del nuovo, se fare letteratura significa esporsi al linguaggio, agli enigmi della relazione tra parole e cose, tra immagini e idee, tra creazione e conoscenza.

Il tema del nuovo, della creazione originale, si pone come motivazione ultima di tali esplorazioni e interrogazioni tra letteratura e linguaggio; nel Novecento persiste tale istanza, ma riformulata da profonde mutazioni metodologiche. L'apporto più influente, rispetto alla situazione attuale, è stato certo quello dei Formalisti russi che, con energia radicale, hanno configurato la questione delle relazioni tra letteratura e linguaggio in termini di auto-riferimento della letteratura al linguaggio. In sintonia con l'ispirazione anti-psicologistica che caratterizza l'aprirsi del nuovo secolo, i Formalisti respingono il privilegio accordato dalla riflessione estetica di fine Ottocento a concetti elaborati in ambito psicologico, respingono la continuità fra "psicologico" e "estetico" (pietra di paragone di questo atteggiamento è la critica dell'"immagine"). Così, il riferirsi della letteratura al linguaggio non rinvia più, come valeva per un Gourmont, alle leggi (psicologiche) di una scienza della trasformazione dei significati, bensì all'esemplarità metodica di una costruzione di relazioni strutturali: relazioni immanenti a un oggetto, la lingua, che si costituisce come tale appunto nell'autonoma legalità che lo governa, senza rinvii a "fondamenti" eteronomi. Se è questa la via che i Formalisti aprono, il loro primo risultato, intanto, è una definizione differenziale, funzionale di letteratura come linguaggio letterario: l'appartenenza della letteratura al linguaggio ne impone l'identificazione in termini di specifico uso del linguaggio stesso. Coniugandosi con l'esemplarità della linguistica quale metalinguaggio della lingua, tale attitudine genera il progetto di una scienza della letterarietà, "di ciò che fa di un'opera d'arte verbale un'opera d'arte verbale", di uno specifico metalinguaggio della letteratura. Quanto ai contenuti, alle motivazioni culturali di simile progetto, è opportuno ricordare che, oltre alla volontà di ricondurre e sviluppare gli studi letterari entro una rigorosa autonomia di metodi e oggetti, si fa valere l'aspirazione di formulare così gli elementi di una teoria dell'innovazione letteraria sul terreno di un'autonoma descrizione dei rapporti tra le opere (a Praga prima, e poi l'estetica della ricezione di Jauss svilupperanno su questi elementi la nozione di distanza estetica).

 

III. Ma il tema teorico essenziale che i Formalisti propongono resta quello di una scienza della letterarietà come metalinguaggio della letteratura. Sul doppio versante che il tema propone, un'idea di letteratura e un'idea di linguaggio, reagisce alle tesi dei Formalisti la prospettiva bachtiniana.

I termini teorici generali della critica di Bachtin sviluppano proprio la rivendicazione della necessità di un livello di riflessione estetica che non può essere riassorbito da, né posticipato a, una "estetica del materiale" (formula che traduce la "scienza della letterarietà");[ii] ma qui interessa rilevare quali temi Bachtin proponga nel movimento analitico della sua riflessione, come luoghi cruciali di elaborazione metodologica.

In primo luogo, allora, l'attenzione alla dinamica, nella lingua, tra forze centripete e forze centrifughe: così che si evidenzia - congruente con l'impulso centripeto che si afferma nell'istituirsi di una lingua unitaria ("nazionale"), come orizzonte normativo sovraordinato alla molteplicità delle parlate - il prodursi di una tradizione della letteratura in orizzonte monologico, rappresentata eminentemente dalla tradizione "alta" del linguaggio poetico, lingua che non conosce altra lingua fuori di sé.[iii]

Se la dinamica, nella lingua, di centripeto e centrifugo si riversa e si raffigura nella letteratura, diventa possibile tracciare un profilo della modernità - nel tempo lungo dell'"evo" moderno - come dialettica tra monologismo e pluridiscorsività: un ruolo centrale, nella delineazione di tale profilo, spetta al romanzo, genere critico,[iv] meta-genere, in quanto assume la pluridiscorsività, latente e diffusa nel linguaggio, a proprio principio costruttivo.

Da questo, già emerge una complessità delle relazioni tra letteratura e linguaggio, che non si riducono a un rapporto in qualche modo unidimensionale, semplicemente differenziale (linguaggio letterario vs linguaggio quotidiano, ad esempio) e che, di conseguenza, ridimensionano, fortemente limitano l'ambizione teorica della scienza della letterarietà di costituirsi in puro e rigoroso metalinguaggio della letteratura.

Nel decorso logico della riflessione bachtiniana prende allora corpo un tema, come momento di sedimentazione e cristallizzazione teorica del processo richiamato: il concetto di parola semi-propria e semi-altrui. Ciò che tale idea di parola mette in gioco, non è soltanto una polisemia,[v] come concorrenza, coesistenza e rifrazione di significati diversi, la cui possibilità viene da Bachtin registrata già in orizzonte monologico:[vi] mentre un codice, infatti, può governare la polisemia, qui si assiste a un rifrangersi nella parola di intenzionalità diverse, a un dialogo di lingue, di voci diverse, leggibile solo in funzione di una strategia;[vii] da una strategia, dunque, più che da un codice, viene determinata la fisionomia della parola, semi-propria e semi-altrui.

In sintesi, due temi rilevanti ricaviamo dalla riflessione bachtiniana, euristicamente coordinabili sulla letteratura e sul linguaggio: l'esperienza del romanzo come assunzione della pluridiscorsività, quanto alla letteratura; la nozione di parola semi-altrui, quanto alla lingua. Riformulando tali temi come suggestione di questioni, apriamo almeno due rubriche: l'insufficienza del modello codice; la questione della letteratura come modernità, che la centralità teorica del romanzo suscita (e rispetto alla quale una teoria dell'innovazione si mostra inadeguata).

 

IV. Senza affrontare nei suoi propri termini la questione del "modello codice", ci limitiamo a due riferimenti, utili alla prospettiva che si tenta qui di delineare. Sperber-Wilson, nel loro libro Relevance,[viii] ricordano il lavoro di personaggi quali Lévi-Strauss o Barthes, inteso a trattare i simbolismi culturali o artistici in termini semiotici, rilevandone il fallimento:

 

In the course of these attempts, they certainly shed new light on the phenomena, and drew attention to many interesting regularities; but they never came near to discovering an underlying code in the strict sense: that is, a system of signal-messagge pairs which would explain how myths and literary works succeed in communicating more than their linguistic meaning, and how rites and customs succeed in communicating at all.

This failure is instructive. What a better understanding of myth, literature, ritual, etc., has shown is that these cultural phenomena do not, in general, serve to convey precise and predictable messagges. They focus the attention of the audience in certain directions; they help to impose some structure on experience. To that extent, some similarity of representations between the artists or performers and the audience, and hence some degree of communication, is achieved. However, this is a long way from the identity of representations which coded communication is designed to guarantee. It is not clear how the type of communication involved in these cases could be explained in terms of the code model at all.[ix]

 

Sperber-Wilson propongono di integrare al codice l'inferenza, per spiegare i meccanismi della comprensione verbale: "[the] gap between the semantic representations of sentences and the thoughts actually communicated by utterances [...] is filled not by more coding, but by inference";[x] ma basti, qui, raccogliere questa netta restrizione del rapporto tra codice e comunicazione, come avviso di radicale cautela verso ogni sua estensione analogica.

Se il riconoscimento della parzialità del codice come modello esplicativo della comprensione verbale, incrina nel suo stesso fondamento analogico l'ipotesi di un metalinguaggio della letteratura, non per questo, tuttavia, si cancella la pertinenza della dimensione metalinguistica; che anzi può valere a suggerire una più fertile analogia. Harald Weinrich ha osservato che tutti i segnali sintattici

danno istruzioni all'ascoltatore o al lettore di come condurre nei rispettivi punti del testo le necessarie operazioni di decodificazione per capire il testo nel senso del parlante o dello scrivente [...] Se però i morfemi sintattici procurano per principio al ricevente informazioni utili intorno alle strutture organizzative del testo, allora si conceda anche di ascrivere ai morfemi della sintassi e, si noti, a tutti i morfemi della sintassi, uno status metalinguistico.[xi]

 

Insomma, nella lingua, "lingua-oggetto", si verrebbe a ritagliare così una zona significativa di "metalingua", che non può però essere recisa e separata dalla lingua stessa; ma l'apparente paradosso si scioglie quando riconsideriamo il concetto di metalingua in relazione ai "nostri contatti quotidiano-pratici con testi-nella-situazione":

 

Perché la riflessività della lingua intorno alle condizioni che le sono proprie, cioè quel che s'intende con il concetto di metalingua, non è stata imposta alle lingue naturali come un gioco intellettuale dei linguisti e dei logici di professione. Bisogna piuttosto assumere per ogni comunicazione che i partecipanti alla medesima abbiano parte al codice, comune solo in linea di principio, in misura diversa.[xii]

 

Questa idea di metalingua come riflessività intrinseca al linguaggio, intorno alle proprie condizioni, da un lato articola e dinamicamente stratifica il linguaggio, come polarità e non mera datità oggettuale della relazione linguaggio-letteratura, dall'altro sembra meglio congruente, "più somigliante", alla struttura d'esperienza in cui incontriamo la letteratura, sempre percorsa e animata, nel suo essere "letteratura", da una riflessività, dal farsi di una idea di letteratura, innervata di "meta-letteratura".

 

V. Il termine modernità si può correntemente assumere in due accezioni: l'una ampia, abituale negli studi storici, che vale come designazione del dopo-Medioevo, l'altra ristretta, più diffusa nel dibattito filosofico, che esibisce come evento di fondazione simbolica la Rivoluzione francese e/o Kant. Se giochiamo entrambe queste accezioni sull'ipotesi bachtiniana di estetica del romanzo, si può tratteggiare un doppio profilo della modernità: a) nel tempo lungo, la modernità del romanzo consiste nell'istituire una letteratura del libro, che privilegia l'appello a un lettore estensivo;[xiii] b) nel tempo medio, la modernità del romanzo si rivela come criticismo verso il sistema (monologico) dei generi, grazie al suo carattere di meta-genere, che alimenta un processo di romanzizzazione della letteratura.[xiv] Occorre osservare che tali nozioni, pur dotate di un corposo indice di leggibilità in riferimento a grandi cesure o articolazioni storiografiche, tendono a disporsi e strutturarsi secondo una scansione tipologica più che cronologica.

Torna utile integrare qui alcune riflessioni di Raymond Williams, miranti a una comprensione dell'idea di letteratura. Williams ha segnalato il processo di categorizzazione di "letteratura", per cui il termine e la nozione vengono a coincidere con un insieme di valori selettivi e auto-definiti;[xv] ponendo l'accento sulla selezione di valori in cui il processo consiste, ne viene in luce la particolare struttura della Letteratura, non riducibile a un insieme descrivibile di opere e generi, ma fondata su un'identificazione critica di valori: ovvero, con altra formula, inerisce alla situazione della Letteratura (nell'accezione storicamente descrivibile come moderna)[xvi] una dimensione di meta-letteratura.

Ciò che, lungo altre linee d'analisi e con altro linguaggio, Bachtin designava come criticismo del romanzo, il suo carattere di meta-genere, può ben confluire in questa identificazione di Letteratura come permanente processo di auto-definizione e fondazione della letteratura stessa, può far corpo con il riconoscimento della dimensione di meta-letteratura nella letteratura. Nell'impossibilità di tracciare relazioni semplici, unilineari, tra letteratura e linguaggio, l'orientamento bachtiniano non cessa di sottolineare, accanto e attraverso la genealogia del romanzo, la complessità inerente al linguaggio mediante il concetto di pluridiscorsività: concetto, ricordiamo, che si elabora nell'assunzione di una parola ("concreta e sociale") assiologicamente satura, intenzionata nella rifrazione di parole altrui.

Se, poi, nella formula di R. Williams (letteratura come insieme di valori selettivi e auto-definiti) mettiamo l'accento sui contenuti dell'auto-definizione della Letteratura, ne emerge il carattere di auto-evidenza dei valori di individualità e originalità. Non c'è dubbio che, pur tra molteplici variazioni di significato, il valore-originalità resti attivo, come istanza fondante, almeno sino a Paulhan, che ne I fiori di Tarbes ne denuncia il mito; ma la sua efficacia non si esercita solo al livello delle poetiche, della "coscienza letteraria". Infatti è la sua auto-evidenza che autorizza una ricerca intorno al nucleo ultimo, essenziale della letteratura (sia che si tratti della letterarietà dei formalisti, sia del crociano concetto dell'arte); auto-evidenza che si tutela mediante una genealogia della letteratura come tradizione dell'identico: emergenza di valori originali ("valori" in quanto assolutamente individuali e originali) che si vogliono esenti da ogni già-dato e, pure, ogni volta già dati all'interno della tradizione in cui concorrono.[xvii]

La Letteratura come modernità sembra dunque esibire una tipica, costitutiva contraddizione: da una parte, il suo strutturarsi come meta-letteratura nella letteratura esige una comprensione nell'orizzonte della complessità; dall'altra parte, il contenuto dei suoi valori fondanti instaura una genealogia dell'identità, congruente con la ricerca dell'"essenza". Tentativi di rielaborazione del concetto di tradizione (Benjamin, Adorno, Jauss) hanno messo alla prova tale contraddizione.

 

VI. Nell'accezione di tempo lungo della modernità, il romanzo dà a vedere il costituirsi di una letteratura del libro; formula che rimanda a una tipologia del leggere, evocando un lettore che "ha letto altri libri", lettore estensivo; se facciamo rifluire questo aspetto, letteratura del libro, sulla situazione del costituirsi della letteratura come modernità in senso ristretto, vi si può correlare una tipologia della parola?

C'è un suggerimento in questo senso in un saggio di Bornscheuer,[xviii] che esamina il mutamento di paradigmi antropologici tra retorica antica e sua rinascita umanistica; e si richiama un passo di Adam Müller su vecchia e nuova eloquenza:

 

È necessario rispiegare in cosa consiste l'essenziale della nuova eloquenza? Il senso delle parole è più profondo, completamente diverso, la pienezza della vita risuona in ogni singola sensazione in essa espressa; in ciascun singolo uomo ci si rivolge a infinitamente molti, anzi a tutti, le lingue nuove parlano al plurale, il vecchio Tu non può esprimere il senso con cui si intende rivolgersi ai singoli [nell'epoca moderna]; si intende sempre qualcosa di ulteriore all'appello stesso; si vuol dire Tu e assieme a te si intende la società civile o umana, oppure tu e contemporaneamente a te Dio.[xix]

 

Bornscheuer commenta che "il 'Tu' dovrebbe qui significare, accanto al Tu della predica cristiana, soprattutto il modo semiprivato e semipubblico di rivolgersi al lettore della moderna letteratura sorta con il mercato librario";[xx] se sospendiamo il mito illuminista dell'universalità del lettore nella sua singolarità, e tratteniamo questo motivo del libro come parola semiprivata e semipubblica, ci appare un'immagine di lettura, e di letteratura, che si svolge sulla soglia che divide e confonde pubblico e privato, l'immagine di una parola a più dimensioni che, anziché essere compresa dall'illusorio concetto di originalità, piuttosto ne rende possibile l'esperienza.

Allora, sul tempo lungo del libro, la letteratura sembra essere una forma o, meglio, una dimensione del "sapere": sapere dell'aver letto (non esiste un primo libro), saper leggere, sapere non conformabile in scienza né in dottrina, sapere che è esperienza di sapere (in tutta l'indecisione della determinazione oggettiva o soggettiva), configurabile forse come equivalente di una moderna ars memoriae (con luoghi, immagini, tecniche di ordine, ...).

 

VII. Riassuntivamente. Le difficoltà di riportare le relazioni tra lingua e letteratura ad un univoco ed esauriente metalinguaggio si sono così articolate: insufficienza del modello codice per strutturare il rapporto tra letteratura e metalinguaggio della letteratura; dimensione metaletteraria della letteratura, in quanto modernità e in quanto libro; contraddizioni inerenti al valore-originalità che fonda la moderna specificità della letteratura; ipotesi di riferimento a una strategia (retorica) e a una forma di esperienza (libro): riferimenti coordinabili nell'emblema, da elaborare in tema teorico, di una letteratura come ars memoriae.



* La traduzione inglese di questo testo è apparsa in G. Franci (ed.), Remapping the Boundaries. A New Perspective in Comparative Studies, Bologna, Clueb, 1997, pp. 87-95.

[i] R. de Gourmont, Du style ou de l'écriture (1899), in La culture des idées, Paris 1916, p. 39.

[ii] Cfr. M. Bachtin, Il problema del contenuto, del materiale e della forma nella creazione letteraria (1924), in Estetica e romanzo, Torino 1979.

[iii] Cfr. La parola nel romanzo, ibid., pp. 93-4.

[iv] Cfr. Epos e romanzo, ibid., pp. 447 sgg.

[v] "Il n'a pas été donné de nom, jusqu'à présent, à la faculté que possèdent les mots de se présenter sous tant de faces. On pourrait l'appeller polysémie", M. Bréal, L'histoire des mots (1887), in Essai de sémantique, Paris 1897, p. 314.

[vi] "Nell'immagine poetica in senso stretto (nell'immagine-tropo) tutta l'azione (la dinamica dell'immagine-parola) si gioca tra la parola (in tutti i suoi momenti) e l'oggetto (in tutti i suoi momenti). La parola s'immerge nell'inesauribile ricchezza e nella contraddittoria molteplicità dell'oggetto, nella sua natura «vergine», ancora «non detta»; essa perciò non presuppone nulla al di fuori del proprio contesto (tranne, naturalmente, i tesori della lingua). La parola dimentica la storia della contraddittoria comprensione verbale del proprio oggetto e l'altrettanto pluridiscorsivo presente di questa comprensione", op. cit., p. 86.

[vii] Per la connessione di strategia e retorica, cfr. P. Valesio, Ascoltare il silenzio, Bologna 1986, e le non convincenti critiche di G. Bottiroli, Retorica, Torino 1993.

[viii] D. Sperber-D. Wilson, Relevance, Cambridge, Mass., 1986.

[ix] Ibid., p. 8.

[x] Ibid., p. 9.

[xi] H. Weinrich, Lingua e linguaggio nei testi (1976), Milano 1988, p. 114.

[xii] Ibid., p. 116 [corsivo nostro].

[xiii] Figura che si correla all'avvento del mercato librario, lettore che deve non solo leggere ma "aver letto", in una situazione in cui "molti leggono molti libri", cfr. H. Weinrich, I lettori del Don Chisciotte (1985), in "Studi di Estetica", 3/4, 1991, pp. 239 sgg.

[xiv] Cfr. Epos e romanzo, cit.

[xv] Cfr. R. Williams, Marxismo e letteratura (1977), Bari 1979, p. 68.

[xvi] Marcata per l'appunto dalla presenza del termine "totalizzante" Letteratura (con la variante "squisita", Poesia), termine e concetto non pensabile, ad esempio, nella situazione medievale, cfr. E.R. Curtius, Letteratura europea e Medioevo latino (1948), Firenze 1992, in part. il cap. Poesia e retorica.

[xvii] Cfr. R. Weimann, The Concept of Tradition Reconsidered, in Structure and Society in Literary History, London 1977, pp. 65-9.

[xviii] L. Bornscheuer, Retorica e paradigmi antropologici (1989), Modena 1991.

[xix] Ibid., p. 48.

[xx] Ibid., pp. 49-50.

 

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