11-12/1995 Luciano
Anceschi Chiunque abbia in qualche modo commercio con gli studi di filosofia e di
letteratura nell'esame dei loro rapporti, delle loro
relazioni, sa bene come, riguardo alle questioni che vanno
sotto il nome di "questioni estetiche" e di "filosofia e
scienza estetica", o semplicemente di "estetica" due
siano negli uomini di cultura gli atteggiamenti più consueti: - il primo atteggiamento è quello che si riassume nel gesto del
letterato puro per cui philosophia
non legitur. Esso corrisponde ad una disposizione
di oscuro sospetto - non senza certo moto difensivo di
fastidio - verso un sapere che sembra avere la pretesa di
imporre un suo astratto schema alla concreta e diretta
esperienza di chi "vive nella
cosa". Letterati, poeti, artisti guardano con poca simpatia
alle estetiche; e alle visioni generali, al sistema, alle
universali determinazioni preferiscono contrapporre le loro artes,
le loro poetiche, nate da una precisa e circostanziata
esperienza particolare e vissuta; - d'altra parte, taluno si compiace di una sorta di filosofismo,
di una certa maniera del giudicare e dell'argomentare per
cui i procedimenti logici del filosofare (di un certo
filosofare) tendono a trasporsi spontaneamente nel discorso
letterario e artistico. Così accade che, mentre taluno si
affida solo alla esperienza letteraria e ne discorre senza i
collegamenti necessari e l'inquietudine delle relazioni,
altri possa discorrere di Omero con gli stessi metodi con cui
parlerebbe della logica hegeliana. Ebbene, una così resoluta rinunzia alla filosofia o una maniera così
invadente e pretensiosa di filosofismo (o, peggio, di
logicismo) corrispondono tutte e due ad una identica
disposizione del filosofare, ad una situazione di cultura
comune, in due opposte determinazioni; e, di fatto, il primo
atteggiamento non è che un
modo di sottrarsi, rifiutandola, ad una disposizione
speculativa a cui il secondo atteggiamento si assoggetta,
favorendolo, due atteggiamenti diversi rispetto ad
una identica idea del filosofare. Dico: rispetto ad un
pensiero, per dirla con Bacone, in cui "la legge" tende
sempre a trasporsi in "regola". E così vien posta in
questione la ragione stessa del filosofare, in
che modo dobbiamo pensare, e con ciò la ragione
del rapporto tra filosofia ed estetica. II.
L'atteggiamento della
"filosofia chiusa" SOMMARIanente, e per entrar subito nell'argomento, devo dire che
le due e singolari e parziali disposizioni di cui s'è fatto
cenno corrispondono ad una particolare maniera d'intendere
il sapere filosofico come un sapere normativo che tende ad imporre la sua legge
all'esperienza. Così si spiegano i due diversi
comportamenti che abbiamo descritti: i letterati di cui si
parlava, nel timore di veder vincolata la loro libertà e il
loro franco inventare, cercano di sottrarsi ad una norma di
cui avvertono il pericolo; gli altri si sottopongono alla
norma per una sorta di rigore e di coerenza universale.
Ebbene, un modo, così fatto, d'intendere il sapere -
dico: un sapere così imprevedibile e sempre fecondo di novità
come il sapere estetico - implica una concezione della verità
come "filosofia chiusa", un sapere, cioè, in cui
l'ordine dei valori tende ad irrigidirsi in una astratta
condizione metafisica e dogmatica, una condizione
"definitiva": tale che, dopo aver significato
una particolare situazione della cultura, si fa presto
estranea alla forte pressione che su di essa esercitano (per
essere significate) le nuove forme e le nuove ragioni nella
viva tensione e ricchezza delle tendenze, delle correnti,
degli ideali. E pensare è sempre un atto aperto di
significazione. III.
L'atteggiamento della
"filosofia aperta" Per altro, esiste anche una nozione del sapere filosofico per cui il
pensiero, anziché chiudersi in un gesto di schiva difesa, si
fa agile e pronto ad intendere i modi parziali in cui la verità
si presenta, rompe i limiti che vengono posti da pratiche
ragioni valutative, e così si fa coscienza della ricchezza
della vita - nel nostro caso della varietà delle
disposizioni estetiche che si presentano nel "vivente"
dell'arte, della poesia, dell'esperienza estetica in
generale; e, allora, tutt'altro che imposizione di astratti
valori normativi, la razionalità. si mostra come disposizione
ad integrare e a risolvere nei loro rapporti i diversi motivi,
aspetti e correnti in cui la realtà estetica si concreta. E
così l'esigenza teoretica, purificata da intendimenti
valutativi e regolativi, si fa pura conoscenza, comprensione, relazione
significante. IV.
L'estetica e la filosofia Un pensiero così fatto che rinunzia ad ogni pretesa normativa e
idealizzante per lasciar vivere l'esperienza estetica in
tutte le sue infinite variazioni e nel rispetto di tutte le
ragioni antiche e nuove implica un atto della ragione che,
anziché oltrepassare l'esperienza con soluzioni
metafisiche, viva nell'esperienza, si faccia principio
d'integrazione dall'esperienza, mettendone in luce la
struttura razionale. Mi richiamerò qui allo Husserl e alla
sua dottrina della "intuizione delle essenze", dico alla
sua dottrina dell'intuizione delle essenze immanenti nella
coscienza pura. Un così fatto atteggiamento di fenomenologia
estetica guida il nostro lavoro fin dalle origini; e già in
un nostro studio giovanile il problema dell'autonomia
dell'arte non si presentava come quello di
definire un ideale momento della sistematica dello spirito, ma
come il rilievo di una legge che garantisce il senso e 1a
ragione di diversissime strutture e dottrine in cui opera in
condizioni storiche, pratiche, culturali diverse una analoga
esigenza di purificazione estetica dell'arte: dalla nozione
filosofica della autonomia
dell'arte alla poetica letteraria della poesia
pura. Così nello studio delle dottrine poetiche,
delle correnti letterarie e artistiche, delle filosofie
dell'arte noi guarderemo sempre al rilievo di tali
generalissimi "campi" della speculazione umana nel loro
infinito, storico, individuatissimo (e tanto più individuato
quanto più in relazione) sfrangiarsi, nel loro presentarsi
diversi, nel loro vivente impulso. V.
L'estetica come scienza
autonoma C'è da credere che una disposizione siffatta ci liberi sia dal
"sospetto verso la filosofia", sia dal "filosofismo",
di cui si parlava in principio. Sembra, infatti, che non vi
sia più ragione di sospettare di una filosofia che intenda
farsi comprensione sfuggendo al pericolo di presentarsi come
norma; e nessuno, d'altra parte, avrà bisogno, per le
ragioni di una coerenza astratta, di ricorrere a modi di
filosofismo che schematizzano, impoverendola, la ricerca. Per
chiunque la vera coerenza consisterà nel seguire le ragioni
più intime di se stesso nel tempo, nella capacità di
rispondere, fondando se stesso nel rispetto di sé, con la
massima responsabilità alla situazione particolare. Così, sembra si chiariscano anche i rapporti tra estetica e filosofia.
SOMMARIamente, dirò che l'estetica
sta sempre più chiarendo la sua posizione come quella di una
scienza particolare, i cui rapporti con la filosofia sono
quelli di qualsiasi scienza particolare. Tale
autonomia le consente di cercarsi metodi e strumenti
appropriati, di procedere secondo accorgimenti diversi e
singolari. Di fatto uno sguardo alla storia dell'estetica ci porta ad osservare
che: - fino a Kant, benché certo si studiasse il problema del bello e
dell'arte, non ci fu, mai, la consapevolezza di una
autonomia dell'estetico, come momento di una sistematica
razionale; se ne ebbero solo dei presentimenti; - che da Kant a Croce tale autonomia venne chiarendosi sempre più come
una definizione di momenti spirituali nell'àmbito di un
sistema idealistico; - che, infine, oggi, l'estetica rivendica a se stessa una autonomia
anche più ampia. Voglio dire: si avverte come scienza
estetica, come scienza
particolare, i cui rapporti con la filosofia sono
rapporti di metodo e di razionalità (richiamo al rigore del
metodo e al sentimento di universalità); ma tale che ha
raggiunto una così fatta coscienza di sé che le consente di
trovare essa stessa i procedimenti più adatti all'esame
della realtà che la riguarda. All'estetica accade ora quel
che, assai prima, è accaduto ad altre scienze: un processo
naturale e necessario di separazione d[a]lla filosofia in
senso stretto. VI.
Gli strumenti della scienza
estetica Credo che sia conveniente che non parliamo qui degli strumenti di cui
tale scienza si serve. Gli strumenti e i metodi saranno
esaminati nelle lezioni di seminario e di esercitazioni. Anche
perché essi appartengono a quel genere di strumenti per i
quali l'insegnante può dare solo una sollecitazione, un
avvertimento, un consiglio: ognuno deve costruirseli da sé
secondo una maturata esperienza. Ma è certo, intanto, che,
affermato qui il carattere fenomenologico delle nostra ricerca
e la tendenza della dottrina estetica a definirsi come scienza
autonoma, converrà chiarire alcune distinzioni che più
frequentemente occorreranno nel nostro discorso. Per esempio,
la distinzione fra Estetica
e Poetica. VII.
Estetica e Poetica. Altre
questioni La parola poetica ha
ripreso insistentemente a circolare nel nostro discorso della
critica dopo il 1936; ma subito si manifestarono due modi di
intendere tale termine: - un modo per cui la nozione di poetica conclude, alla fin fine, con il
sostituire (Binni) la nozione romantica di "mondo morale del
poeta"; - un modo che fenomenologicamente riscatta il valore originario
dell'espressione, come dottrina dell'arte nata dalla
stessa riflessione artistica, come dottrina degli artisti. Taluno intese la poetica come un modo di far entrare nel discorso della
poesia le ragioni sentimentali, morali, e storiche: La poetica può
diventare una precettistica,
da un lato, dall'altro, spianarsi
nel paesaggio sentimentale del poeta. S'intenda,
perciò, l'estensione della parola come espediente di lavoro
e di storicizzamento dei
poeti... si può dire che non
si fa mai storia di poesia, ma di poetica (Binni). Era, rispetto alla concezione monografica della critica letteraria, una
apertura; ma l'accento rischiava di cadere facilmente in una
ricerca di "mondo morale", di rinnovare certe esigenze
romantiche, il cui limite metodico appariva già evidente:
muovere dalla psicologia e dalla storia verso
l'arte, esteriormente, non, interiormente, dall'arte verso
la psicologia e la storia; in ogni modo, fu un importante
sforzo rispetto alla condanna delle poetiche fatta da filosofi
e dottrinari precedenti, e specie dall'Estetica
di Croce, che respingeva le poetiche nell'ordine empirico,
non valido del
sapere per la mancanza, in esse, della forma logica e
universale del pensiero concettuale (realismo concettuale). Nello stesso tempo si perveniva alla rivalutazione delle poetiche per vie
fenomenologiche: non, dunque, come esplorazione del mondo
morale, ma proprio come puro rilievo concreto delle categorie
che, a volta a volta, si presentano al critico, al poeta,
all'uomo di lettere, come necessario strumento del suo
lavoro; e subito se ne tentava la storia. Si trattava di
tentare una fenomenologia storica delle dottrine poetiche,
nell'intento di cogliere anche certe disposizioni costanti
di riflessione. Così, con Autonomia
ed eteronomia dell'arte si iniziò questo
esercizio in un progetto di "sistema estetico aperto, in cui
trovano luogo e giustificazione tutte le particolari
intuizioni degli artisti, dei poeti, dei critici intorno al
problema estetico dell'arte e della poesia: la poetica, come
la riflessione (precettistica, prammatica, idealizzante) degli
artisti sul loro stesso operare; e, pur ammettendo che
l'idea di poetica
si distingue da quella di estetica
per una diversissima sfera di intenzioni e di ragioni, e
ammettendo inoltre, che l'una è preoccupata di motivi di
diretta esperienza letteraria nella definizione di un ideale
operativo e l'altra da interessi affatto scientifici e
teoretici di sistematicità e di unità, non mancava mai in
tutti i casi una riduzione dogmatica dell'esigenza
conoscitiva: una ragione prammatica, in ogni caso, irrigidiva
la ricerca conoscitiva in un ideale, in una norma, in un
metodo definitivo, assoluto. Alla riduzione prammatica non
sfuggono certo, in questo senso, et
pour cause, le poetiche; ma neppure il pensiero
speculativo, quando all'apertura della ricerca si
sostituisca il didattismo della filosofia, che vuole insegnare
alla vita le sue vie. Comunque, non basta la constatazione immediata che le poetiche esistono. E la necessità delle poetiche non sarà forse da ricercare
nell'esigenza della poesia di rendersi consapevole a se
stessa, nell'atto critico interno ad ogni operare poetico?
Per tanto, se la prima forma poetica si dichiara quella poetica
in atto che è la sintassi segreta, l'ars
stessa implicita al fare dell'artista, proprio da
questa ars
sorgono, poi, man mano, gli altri piani della poetica stessa;
dico: il piano tecnico-precettistico, il piano della morale
letteraria, il piano dell'ideale estetico, e, perfino,
quello con cui si dichiarano i rapporti con le diverse
poetiche del presente e del passato. Infine, in questa accezione, lo studio delle poetiche si presentò come
rilievo dei momenti di riflessione interna alla vita
dell'arte, di quella riflessione per cui l'arte si fa
consapevole ragione di sé. VIII.
Metodo di una ricerca Ma si parlava di un metodo; se non gli strumenti particolari, certo un
indirizzo generale di metodo può essere indicato per il
lavoro che cercheremo di svolgere quest'anno. Dirò subito
SOMMARIamente che il nostro metodo si eserciterà muovendo
attraverso tre momenti: il momento
del rilievo della libera esperienza, il riconoscimento delle dottrine e teorie particolari nate nell'ambito
dell'esperienza stessa, il momento
della riflessione scientifica come sforzo di comprensione e di
correlazione tra le varie disposizioni particolari della
esperienza e della riflessione particolare. a)
Il momento del rilievo
della libera esperienza. Non esistono procedimenti metodici universali e assoluti. Le tecniche
della ragione mutano col mutare della situazione; d'altra
parte, il metodo ogni volta si instaura in modo nuovo
proponendosi necessariamente diverso nel diverso rapporto.
Comunque, il primo accorgimento metodico è quello che tende
ad impedire che l'esperienza estetica si irrigidisca,
limitandosi, secondo questo ideale valutativo o quella norma
precettistica, e a lasciare che l'esperienza estetica
significante e vissuta si articoli in tutta la ricchezza dalle
sue ragioni profonde e dei suoi interni rapporti. Essa si
formula secondo il principio che tanto più comprensivo sarà
il rilievo della legge interna
dell'esperienza quanto più ricca sarà la vita
dell'esperienza stessa e più aperto il metodo per
riconoscerla. S'intende che in questo senso anche
le opere mancate, i tentativi, le varianti hanno un rilevante
significato teorico. b)
Il riconoscimento delle
dottrine e delle teorie particolari. Non appena accertata la varietà dell'esperienza ecco sorgere dalla
esperienza stessa un tesoro assai ricco di tentativi di
organizzazione teorica e dottrinale: le poetiche, le teorie
critiche, le precettistiche, le retoriche... È, questo,
certamente, un pensiero tutto vincolato da ragioni pratiche,
parziali, che si esercitano in una infinita varietà di
direzioni, secondo prospettive singolari determinate da
riflessioni e de ragioni pratiche. Esse costituiscono un primo
stato della riflessione estetica, hanno un significato
culturale che è facile intuire, e rivelano talune direzioni
teoriche di riflessione sull'arte che non possono essere
trascurate in una visione fenomenologica. Di fronte ad una
materia così ricca, è ben chiaro che la riflessione
scientifica non può davvero sostituirsi a siffatte parziali,
ma necessarie ragioni: non ha nulla di equivalente a siffatte
soluzioni particolari dotate di una ragione così evidente.
Essa, caso mai, può costituire il piano di integrazione e il
metodo di coordinamento in cui vengono comprese tutte queste
disposizioni particolari, senza le quali la legge scientifica
non potrebbe operare, s'instaurerebbe sul vuoto. c)
Il momento della
riflessione scientifica. Non operano, sembra, neppure secondo una pura ragione scientifica quelle
"filosofie dell'arte", che propongono se stesse come
l'assoluto criterio idealistico della validità poetica e
come il fondamento della critica. Anch'esse irrigidiscono la
vita dell'arte in una prospettiva parziale: il loro senso più
vero sta nell'organizzare sistematicamente una particolare
intuizione del mondo, nel proporre la legge; ma, limitandosi
alle ragioni di un "movimento particolare", restano
estranee alla vita dell'arte, ai suoi mutamenti, al senso di
una estetica durée.
La realtà dell'arte oltrepassa schemi validi a significare
una situazione già conclusa. No. Il momento di una pura
riflessione scientifica si ha quando, raccolto e ordinato il
ricco materiale della libera esperienza estetica, senza
annullarlo, né soffocarlo, né ridurlo, la fenomenologia
tende a rilevare la legge trascendentale, la legge di
orientamento che opera in esso, e a trovare la correlazione
tra la legge dell'esperienza estetica e quella degli altri
campi, secondo il principio di una sistematicità aperta, mai
assoluta, mai definitiva... Il concetto, infatti, è
l'intero; e l'intero si fa ogni giorno... Pertanto, il progetto di una estetica come scienza fenomenologica vien
così articolandosi nella sua problematica di metodo, e può
tener conto della vita dell'arte nella sua concreta, variata
disponibilità, e nelle sue forme riflessive: i problemi della
critica, l'esperienza delle poetiche, e le ragioni della
filosofia dell'arte con l'intento di consentire
all'esperienza di rivelarsi, di farsi valere in tutta la sua
molteplicità. È una affermazione affrancata di libertà,
questa che proponiamo, e, di fatto, i singoli aspetti del
reale, qui, sciolti da ogni maniera di esaltazione
assolutistica, riprendono qui la loro posizione relativa, si
connettono senza egemonie con gli altri aspetti, rientrano con
essi nella corrente generale della realtà, e in essi trovano
la loro ragione, la loro giustificazione. In un'epoca come la nostra, in cui i singoli campi tendono a definire
sempre meglio le loro autonomie senza perdere il senso delle
scambievoli relazioni, alla fine non vi sarà più luogo a
timori per la prepotenza della filosofia, né a eccessi di
pericolosi e schematici filosofismi. Come ciò possa attuarsi
concretamente, ecco il compito che dobbiamo insieme condurre
per quel che è possibile in porto. E dobbiamo operare con il
proposito di tener sempre desto e pronto lo spirito della più
sollecitante e attiva ragione critica. Nessuna soluzione ci
troverà mai paghi. Seguiremo così la vita estetica in tutta
la concretezza del suo vivere, in tutto il suo autentico esser
presente nella vita degli uomini, nel moto vivo e necessario
delle sue contraddizioni viventi, in tutto il calore delle
azioni e delle reazioni della sua varia e fertile natura. E
sarà un modo anche di educarci alle ragioni della libertà,
alla azione liberatrice
della libertà. [A
cura di F. B.] *
Il presente testo comparve per la prima volta come parte
introduttiva (pp. 1-18) delle dispense relative al primo
corso d'insegnamento tenuto da Anceschi a Bologna (AA.
1953-54). Le dispense furono pubblicate presso
l'editrice universitaria milanese La Goliardica nel
maggio del 1954 con il titolo Lezioni
di estetica.
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