25/2002
Innanzitutto
chi è Max Loreau?[1]
Un filosofo, un poeta, un critico d'arte? Tutto ciò e nulla di
tutto ciò. Poiché Loreau, come non ha voluto fissare la propria
esistenza in una funzione (professorale), così non ha voluto limitare
la propria scrittura a un genere. Un'unica ricerca l'ha ossessionato:
quella dell'invenzione, della venuta alla luce, della genesi del
fenomeno. Un modo, se si vuole, di penetrare nella più radicale
interrogazione del mondo, dell'Ereignis (evento e accadimento,
secondo Heidegger), del sorgere all'esistenza. Per accedervi, o
piuttosto per favorire tale movimento originario, per nulla risolto in
un passato che basterebbe ritrovare per retrogradazione, ma che esige
una formazione, una progressione che è nello stesso tempo una finzione,
tutti i mezzi furono validi per Loreau: la lettura creatrice di Platone
o Hegel, della pittura di Jean Dubuffet o della poesia di Michel Deguy,
la scrittura selvaggia delle poesie, e soprattutto l'azione pianificata
dell'autogenerazione nel dire smisurato della genesi del mondo (la sua
opera principale, apparsa postuma, Genèses, annunciata da
un'altra opera di metodo - ma il metodo è già il cammino - La
genèse du phénomène[2]). In
tal modo, per Loreau, la nascita del mondo non è separabile dal nostro
stesso venire al mondo, attivo, generatore e creatore. Ciò significa
che, nell'immenso compito della generazione, l'autogenesi è
fondamentale: essa deve, insieme alla lingua, far nascere il corpo
stesso che costituisce la nostra unica via d'accesso nel mondo. Di
fronte a questo enigma del corpo costretto all'autogenerazione, la
pittura mette dunque in opera l'esperienza stessa della nascita della
vista e della sua separazione rispetto agli altri sensi, ossia la prima
formazione del corpo nella sua "voluminosità" (parola che
condensa il volume e la luminosità). Il
libro da cui è tratto il testo che segue si intitola propriamente La
peinture à l'_uvre et l'énigme du corps. Esso raccoglie tre testi:
il primo, a proposito di Henri Michaux, mette a confronto linguaggio
poetico e linguaggio pittorico; il secondo, scritto a ridosso del Maggio
'68, a partire dall'aforisma di Dubuffet: "l'arte è
anticultura", tenta di pensare le condizioni sovversive della
creazione artistica; il terzo infine, Le peintre, la toile et le
corps (suite), di gran lunga il più ampio e, a mio parere, il più
incisivo, tratteggia la genesi del fenomeno pittorico: spazio, corpo,
vista, che sono al contempo un generarsi del pittore, della tela e
dell'arte. Le
corps en représentation (Autour d'une peinture de Magritte)
costituisce la quarta e ultima parte del testo. L'insieme affronta
"l'atto di dipingere", e dunque tratta del pittore in quanto
attore che scopre, insieme all'enigma della formazione della vista, il
proprio enigma. Quale? Quello di un pensiero che esperisce il proprio
corpo e il suo riflettere - nella duplice accezione del termine: come
linguaggi che si cercano e come immagini che si specchiano. Per fare
questo, il pittore deve affrontare la perdita della vista
nell'andirivieni tra il paesaggio e la tela, tra l'immagine del reale
visibile e l'immagine dell'irreale da formare, ancora invisibile. Ciò
che si produce è un autentico andirivieni, poiché il sensibile visto
(del paesaggio) e l'intelligibile da vedere (del quadro) si scambiano le
loro qualità: il dipingere traspone il sensibile dalla natura, resa
irreale o intelligibile sulla tela, al sensibile del quadro, segnato dai
tratti corporei e materiali dell'azione del dipingere, inizialmente
fissato nell'irreale o nell'intelligibile. La creazione pittorica si
rivela allora in gioco nei movimenti del corpo che volge la schiena
al paesaggio, nasconde a se stesso la vista esteriore, si rivolge
verso la tela e, ovviamente, con gli occhi, la mano e il pennello,
compie i gesti - invenzioni, tratti, coloriture - della pittura.
Allo stesso tempo, il volume del corpo e del mondo, tanto naturale che
artistico, appare in piena luce, suscitato fondamentalmente da questo
movimento di avanti e indietro, di faccia e di schiena. Detto
altrimenti, nell'esperienza attiva del dipingere, la genesi del fenomeno
- tanto del quadro che del pittore e di ciò che questi vede - si
produce grazie a movimenti di rivolgimento che sono al contempo di
distanziamento. La creazione è una conversione, una versione
concomitante del reale che si scopre, che nasce grazie al centro del
corpo come scarto e legame, intersezione, finzione, arte. L'analisi de Les
liaisons dangereuses di Magritte si rovescia a sua volta, con
brillante penetrazione, su quella del pittore medesimo. [1]
1 Max
Loreau (1928-1990) insegnò filosofia moderna ed estetica
all'Université Libre di Bruxelles dal 1964 al 1969, quando decise
di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Oltre ai lavori
filosofici e di critica d'arte ricordati più avanti, bisogna
menzionare tra le sue opere letterarie e poetiche: Cri. Éclats
et phases (1973), Nouvelles
des êtres et des pas (1976), Chants de perpétuelle venue (1977),
apparse tutte presso Gallimard, Florence portée aux nues
(Paris, L'Astrée, 1986) e L'épreuve (Saint Clément, Fata
Morgana, 1989, di cui Adriano Marchetti ha fornito la traduzione
italiana in "Origini", IX, 25, 1995). Per
un'introduzione all'opera di Max Loreau si possono consultare il
numero monografico di "Francofonia" (41, autunno 2001), Max
Loreau. La quête de l'imprévisible, a cura di A. Marchetti,
e l'antologia di saggi e articoli, M. Loreau, De la création. Peinture,
Poésie, Philosophie,
Bruxelles, Labor, 1998. Entrambi i volumi contengono
un'ampia bibliografia. [2] Pubblicati rispettivamente
presso le edizioni Galilée (Paris, 2001) e Minuit (Paris, 1989). |
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