18/1998
Studi di Estetica
III serie
anno XXVI, fasc. II

Emilio Mattioli
Baumgarten e l’estetica

 

 

 

"A voler tentare una prima ricognizione [dell’estetica di Baumgarten], ne emerge la fisionomia di una episteme che ha poco da fare con le poetiche (e che dunque non autorizza né per sinergia né per allergia la filosofia dell’arte), rispondendo piuttosto a interrogativi praticati per lo più da altre discipline, siano la gnoseologia, la psicologia, la fenomenologia o la ontologia. Le questioni con cui si ha da fare, nella ricerca dell’orizzonte in cui si iscrive Baumgarten, non sono allora: che cosa (o – peggio – come) è l’arte? bensì, di nuovo: che cosa c’è? che cosa si produce quando si produce? cosa significa inventare? che cosa conoscono gli animali, e cosa l’uomo, nella sua preponderante veste di bête humaine? Il volto di una estetica, per nulla paradossalmente, si potrà ben riconoscere senza guardare a una sola opera d’arte – e avendo di mira piuttosto una sfera che inerisce prioritariamente alla psicologia, alla percettologia e all’ontologia." Così Maurizio Ferraris in Estetica razionale.[1]

Poiché questa visione dell’estetica di Baumgarten, e anche dell’estetica tout-court, ridotta a sola dottrina della conoscenza sensibile e depurata della filosofia dell’arte, sta, per lo meno in Italia, rapidamente diffondendosi, è forse opportuno porsi queste due domande: 1) è questa davvero la concezione di Baumgarten? 2) quale senso ha l’operazione riduzionistica?

Il problema in relazione a Baumgarten è già stato studiato a fondo e credo perciò giusto rifarsi ai lavori esistenti. Hans Rudolf Schweizer, uno dei maggiori specialisti di Baumgarten parla di un "Doppelansatz […], der den erkenntniskritischen Geschichtpunkt mit dem poetisch-rhetorischen verbindet" ("un doppio approccio […], che lega il punto di vista della critica della conoscenza con quello poetico-retorico").[2] E, in altro luogo, sostiene che: "Die Verbindung dieser beide Aspekte: Ästhetik als Philosophie der sinnlichen Erkenntnis und als Philosophie der Kunst, ist für Baumgarten selbst noch kein Problem" ("L’unione di questi due aspetti: l’estetica come filosofia della conoscenza sensibile e come filosofia dell’arte non è ancora per Baumgarten stesso assolutamente un problema.").[3] È possibile verificare la tenuta di queste affermazioni esaminando sia le definizioni che dà Baumgarten di estetica sia pagine da lui dedicate a temi specificamente artistici. Partiamo dalle definizioni. Nelle Lezioni di Estetica di Baumgarten, "scritte probabilmente sotto dettatura del professore da un anonimo studente" (Amoroso), tradotte di recente in italiano da Salvatore Tedesco,[4] c’è un passo molto importante che Schweizer ha utilizzato per spiegare come mai la definizione di estetica che compare nell’Aesthetica del 1750 sia accorciata rispetto a quella della Metaphysica. Dice infatti il § 533 di quest’ultima opera: "Scientia sensitive cognoscendi et proponendi est Aesthetica (Logica facultatis cognoscitivae inferioris, Philosophia gratiarum et musarum, gnoseologia inferior, ars pulchre cogitandi, ars analogi rationis." ["La scienza della conoscenza e dell’esposizione sensibile è l’estetica (logica della facoltà di conoscenza inferiore, filosofia delle grazie e delle muse, gnoseologia inferiore, arte del bel pensare, arte dell’analogon della ragione)."]. Nell’Aesthetica (§ 1) invece la definizione è formulata così: "Aesthetica (theoria artium liberalium, gnoseologia inferior, ars pulchre cogitandi, ars analogi rationis) est scientia cognitionis sensitivae." ["L’estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del bel pensare, arte dell’analogon della ragione) è la scienza della conoscenza sensibile."].

Scompare dunque proponendi. È un fatto di grande rilievo. Proponere indica il momento espositivo, comunicativo. Come sappiamo dalle Riflessioni sul testo poetico:[5] "la parte dell’estetica concernente il proporre deve essere più vasta che in logica." (§ 117). Si tratta, dunque, come si diceva di un’omissione importante. Come la giustifica Baumgarten? Leggiamo il passo delle Lezioni: "Si potrebbe chiedere perché non si sia scritto scientia de cognitione sensitiva et acquirenda et proponenda. Ma si conosce la regola di non introdurre nelle definizioni delle partizioni superflue. E poi sarebbe una definizione troppo riduttiva e si riferirebbe molto più specificamente all’eloquenza, mentre la definizione deve riferirsi anche a musica e pittura.".[6] L’omissione, dunque, non nasce da un proposito riduttivo, anzi l’estetica deve comprendere non solo le arti verbali, ma anche la musica e la pittura. È una conferma del doppio approccio che per altro risulta documentato in tutti i testi preparatori alla fondazione dell’estetica raccolti da Schweizer. Passiamoli in rassegna. Lo confermano le varianti della definizione nelle diverse edizioni della Metaphysica, nella edizione del 1739 l’estetica coincide con la retorica e la poetica: "Scientia sensitive cognoscendi et proponendi est Aesthetica, meditationis et orationis sensitivae vel minorem intendens perfectionem, Rhetorica, vel maiorem Poetica universalis." ("La scienza della conoscenza ed esposizione sensibile è l’estetica, se ha per scopo la minor perfezione del pensiero e del discorso sensibile è la retorica, se ha per scopo la più grande perfezione è la poetica universale.")

Questa formulazione si pone in connessione con le Riflessioni sul testo poetico dove al già citato § 117 è detto: "Avremmo allora come Retorica generale la scienza che tratti, delle rappresentazioni sensitive in genere, l’esposizione imperfetta; e come Poetica generale la scienza che della rappresentazioni sensitive in genere tratti l’esposizione perfetta." Nella seconda lettera filosofica l’estetica viene suddivisa nelle arti che si occupano della conoscenza in se stessa e in quelle che si occupano principalmente della esposizione viva della conoscenza. Il "lebhafte Vortrag", l’esposizione viva, corrisponde al "sensitive proponere" della Metaphysica. Nel § 147 della Philosophia generalis poi il doppio approccio è articolato così: l’estetica è da una parte la filosofia organica che porta a perfezione la conoscenza sensibile, dall’altra è l’"ars signandi et signis cognoscendi characteristica (Semiotica, Semiologia, Symbolica)", in sostanza l’estetica della designazione, l’arte della designazione e della conoscenza attraverso i segni.

L’ambito dell’estetica è qui portato alla sua ampiezza massima tanto da comprendere anche l’arte mantica in tutte le sue varietà possibili. L’intento di Baumgarten è quello di non lasciar sfuggire nessun aspetto della conoscenza sensibile: di particolare importanza per la nostra ricognizione è l’inclusione nell’estetica della designazione o caratteristica dei temi della poetica e della retorica in una elencazione molto dettagliata. La rassegna delle definizioni è una prova documentata della costanza del doppio approccio, Baumgarten ha pensato l’estetica come unione della dottrina della conoscenza sensibile e riflessione sulle arti. Che Baumgarten tratti di temi propri della filosofia dell’arte a me sembra un’ovvietà, ma esemplifichiamo pure con il caso vistoso delle finzioni poetiche. Nel § 511 dell’Aesthetica è scritto che le finzioni eterocosmiche sono dette poetiche, perché il loro inventore crea, quasi fingendo, un nuovo mondo. Ora questa idea ha senso solo in riferimento all’attività artistica ed è un allargamento notevolissimo dell’ambito della poesia, una legittimazione della fizionalità di grande importanza. Pranchère ha sottolineato bene la portata di questa affermazione: "L’arte si definisce così come ‘invenzione vera’; essa descrive l’irreale senza essere menzognera: la sua verità è ‘eterocosmica’. In tal modo si afferma una volta di più l’autonomia della percezione sensibile, che è vera anche quando inventa il suo oggetto, e anche quando il suo oggetto è logicamente impossibile: Baumgarten riconosce nella sua Estetica il diritto del poeta di descrivere l’impossibile, purché questo impossibile sembri vero, e dunque non impedisca la bellezza. La verità della percezione sensibile si deduce non dalla sua fedeltà al reale, ma dalla sua bellezza e non l’inverso."[7] Dice infatti Baumgarten al § 518 dell’Estetica: "la finzione poetica che crea un nuovo mondo […] deve dunque possedere una fortissima verisimiglianza interna, e un singolare ordine delle parti bellamente congiunte, e un’armonia e una convenienza che colpiscano gli occhi con forte luce, ed una unità veramente notevole, e in genere una bellezza assolutamente singolare, se deve ottenere soddisfacente plauso."[8] E inoltre Baumgarten è arrivato a cogliere l’individualità dell’arte. Con le parole di Pranchère: "La verità estetica è sempre singola (l’arte non enuncia mai delle proposizioni generali, presenta degli esempi; non espone argomentazioni logiche, descrive dei casi particolari). Noi afferriamo in tal modo, definitivamente, qual è il valore cognitivo della bellezza: la bellezza è la perfezione della conoscenza sensibile delle nature singole; detto altrimenti la bellezza è la scienza dell’individuale."[9]

Il riscontro è con il § 564 dell’Estetica là dove è detto: "Ma l’orizzonte estetico deve principalmente la sua ricchezza agli oggetti singolari, individuali e molto determinati, che danno alla verità esteticologica la più grande perfezione possibile." (traduzione nostra). L’esemplificazione, comunque, non deve essere isolata, non si tratta di andare alla ricerca di precorrimenti della filosofia dell’arte succesiva, anzi anche questa esemplificazione minima si comprende pienamente solo nella prospettiva continuistica che vede l’estetica legata alla tradizione retorica, non dissociata ovviamente dal pensiero filosofico leibniziano-wolffiano. Il commento di Salvatore Tedesco alla sua traduzione delle Lezioni di estetica è la prova più argomentata e documentata di questa prospettiva che oggi ci sia. Su questa base "l’alternativa che – secondo Kobau – si apre ai fondatori dell’estetica […] fra una metodizzazione della retorica e delle poetiche classiche (a cui solo più tardi potrà appoggiarsi la sussunzione delle ‘arti liberali’ e delle ‘scienze belle’ sotto un concetto unitario di arte) e una derivazione il più possibile intrafilosofica dell’estetica intesa come ramo della gnoseologia […] primi esponenti di queste due vie: Baumgarten e Meier per la seconda, Gottsched, e Bodmer e Breitinger per la prima" non si pone.[10] In Baumgarten sono indubbiamente presenti entrambe le componenti, il Doppelansatz appunto.

L’estetica di Baumgarten, dunque, è sia nelle definizioni che il suo fondatore ne ha dato sia nei suoi sviluppi concreti dottrina della conoscenza sensibile e filosofia dell’arte, in questo sta la sua forza e la sua attualità. Di questa attualità indicherò cursoriamente alcuni punti:

1) L’ampiezza dell’orizzonte estetico baumgarteniano. Nell’estetica di Baumgarten, secondo un altro specialista di questi studi, Heinz Paetzold [11] si legano insieme la tradizione retorico-poetica ("Rhetorisch-poetische Tradition"), il nuovo approccio alla capacità conoscitiva della sensibilità ("Der Neuansatz: Erkenntniskrafte der Sinne"), le tre correnti tradizionali: bellezza, sensibilità, teoria dell’arte ("Die drei Traditionsströme: Schönheit, Sinnlickeit, Kunsttheorie"), le categorie fondamentali dell’estetica: ubertas, magnitudo, veritas, lux, persuasio. L’estetica deve mantenere questa ampiezza, la riduzione ad una sola dimensione è non solo arbitraria, ma dissolutrice della disciplina. Ricordo la conclusione dello studio di Pranchère: "il compito dell’estetica non è quello di dire meglio dell’arte il contenuto dell’arte. Solo l’arte può produrre la verità singola che è la sua. Il significato della bellezza artistica non è parafrasabile; la verità dell’arte è immanente dell’arte e non può essere esposta altrimenti che in se stessa. Baumgarten evita così una doppia riduzione: quella della bellezza a una forma senza contenuto; quella dell’arte all’enunciazione di un messaggio riformulabile. I suoi successori non eviteranno sempre queste riduzioni […]. Il merito dell’estetica di Baumgarten è di avere, pur considerando l’arte un luogo di verità (e non un semplice ornamento), affermato la sua irriducibilità. Il fatto è che l’idea che il bello manifesta non è universale, ma singola, di modo che l’arte deve essere compresa come la presentazione di una verità che non si lascia tradurre in un discorso esterno o superiore alla verità. In tal modo Baumgarten ha formulato l’esigenza fondamentale di ogni estetica: ha definito i limiti del genere."[12]

2) La dimensione fenomenologica dell’estetica baumgarteniana che Cassirer ha messo efficacemente in luce – "Essa (l’arte) non vuole superare il fenomeno, ma rimane nel fenomeno stesso; non vuole risalire alle sue cause, ma afferrarne il semplice ‘che cosa’ e presentarcelo nel suo proprio essere e nel suo essere così."[13] – è in singolare sintonia con tendenze attuali dell’estetica; Paetzold, nella Einleitung appena citata,[14] ha richiamato l’estesiologia di Plessner, ma soprattutto Merleau-Ponty. Altrettanto evidente il rapporto con la neofenomenologia critica italiana; il § 560 dell’Estetica con il suo famoso interrogativo retorico: "Quid enim est abstractio si iactura non est?" (Che cosa è l’astrazione, se non è perdita?) può esser preso come divisa di questa tendenza estetica, costantemente rivolta alla concretezza dell’opera d’arte e polemica verso i sistemi astratti.

3) Lo stretto rapporto dell’estetica baumgarteniana con la retorica e la poetica classiche oggi, dopo la rivalutazione di questa straordinaria eredità culturale, risulta non un limite, ma una ricchezza. Mi permetto di rinviare per alcune SOMMARIe indicazioni al mio contributo: La storia dell’estetica antica dopo la rivalutazione della retorica pubblicato in un preprint del 1989 che raccoglie gli Atti di un seminario su Antico e Moderno. L’Estetica e la sua Storia, promosso dal Centro Internazionale studi di estetica di Palermo nel 1988, ma ci tengo a sottolineare che questo nodo problematico della storia dell’estetica si va sempre più chiarendo attraverso il lavoro tuttora in corso di Salvatore Tedesco del quale oltre alla già citata edizione italiana delle Lezioni di Estetica, bisogna ricordare almeno: Alla vigilia dell’Aesthetica Ingegno e immaginazione nella poetica critica dell’Illuminismo tedesco, Palermo, 1997. La collaborazione di Salvatore Tedesco con Pietro Pimpinella, autorevolissimo studioso di Baumgarten, garantisce della attendibilità di questa linea di ricerca.

Concludo infine con una domanda che va al di là di Baumgarten e accenno ad una risposta. Perché l’estetica non dovrebbe occuparsi d’arte? Da una parte sembra che si dia per scontata la morte dell’arte, dall’altra che l’arte per la sua indefinibilità non sia considerata degna di attenzione filosofica, l’arte non è un oggetto epistemico, si afferma. Probabilmente i due motivi si legano: si pensa che l’arte sia morta, mentre, più probabilmente, ancora una volta si trasforma e proprio questa sua tendenza a trasformarsi continuamente la rende indefinibile. Personalmente non capisco il senso di una estetica che non si occupi d’arte.

Note:

[1] Milano 1997, pp. 69-70.
[2] H. R. Schweizer, Einführung alla Theoretische Ästhetik di Baumgarten, Hamburg, Meiner, 1988, p. X.
[3] H. R. Schweizer, Einführung alla raccolta dei testi baumgarteniani relativi alla fondazione dell’estetica, Texte zur Grundlegung der Ästhetik, Hamburg, Meiner, 1983, p. IX.
[4] A.G. Baumgarten, Lezioni di Estetica, ed. it. a cura di S. Tedesco, Palermo, Aesthetica ed., 1998.

[5] A.G. Baumgarten, Riflessioni sul testo poetico, ed. it. a cura di F. Piselli, Palermo, Aesthetica ed., 1985.
[6] A.G. Baumgarten, Lezioni , cit., p. 30.
[7] J.-Y. Pranchère, Baumgarten: l’invenzione dell’estetica, trad. di E. Mattioli, "Studi di estetica", n. 1, 1990, p. 38.

[8] A.G. Baumgarten, Estetica, ed. it. a cura di F. Piselli, Milano, Vita e Pensiero, 1992, p. 220.
[9] J.-Y. Pranchère, op. cit., p. 39.
[10] P. Kobau, Illuminismo e attualità in estetica, Milano, CUEM, 1996, "Pratica Filosofica", n. 11, p. 123.
[11] Faccio riferimento alla Einleitung di H. Paetzold alla sua edizione delle Meditationes, Hamburg, Meiner, 1983.
[12] J.-Y. Pranchère, op. cit., pp. 39-40.
[13] E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo, Firenze, La Nuova Italia, 1952, p. 470.
[14] H. Paetzold, op. cit., p. LI.

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