18/1998 Elisabetta Di Stefano
È recentemente uscito il primo volume della rivista "Albertiana",[1] dedicata al grande umanista e teorico dellarte fiorentino. Questa circostanza, se da un lato conferma il crescente interesse che in questi ultimi anni viene prestato a Leon Battista Alberti, dallaltro induce ad una spiacevole constatazione riguardo la diffidenza che, ancora oggi, il mondo accademico dellestetica nutre nei confronti di questo teorico, che pure ha giocato un ruolo significativo nella storia di tale disciplina. Infatti, se scorriamo velocemente lindice della rivista, vediamo che diversi studiosi[2] si sono occupati di aspetti specifici del pensiero e dellopera albertiani, ma lapproccio è sempre quello dellitalianista o dello storico dellarte: manca uno studio che affronti lautore da una prospettiva teorica e filosofica. La causa di questa diffidenza, come è noto, è riconducibile al pregiudizio scientifico, ancora purtroppo alquanto diffuso, secondo cui lestetica è una disciplina filosofica nata e sviluppatasi nel Settecento. Inutilmente cercheremmo il nome di Alberti nella Geschichte der Aesthetik als philosophischer Wissenschaft[3] (1858) di Robert Zimmermann, il primo storico dellestetica, il quale non prende affatto in considerazione lintero periodo che va dal III al XVIII secolo, in quanto, dopo Platone, Aristotele e Plotino e prima dellavvento di Baumgarten, non trova "materiale filosofico" pertinente al suo modello storiografico. Un passo avanti si fa con Croce, che dedica un capitolo alle "Idee estetiche nel Medioevo e nel Rinascimento" e nomina due volte Alberti, ma ne dà uninterpretazione riduttiva e distorta. In realtà, Croce rimane vittima della sua visione pregiudiziale di unestetica come "Scienza dellespressione" nata con Vico e, pur dedicando un capitolo al Rinascimento, ritiene che "idee fondamentalmente nuove, nel dominio della scienza estetica, non sorgono ancora".[4] Per questo motivo non comprende limportanza del ruolo giocato da Leon Battista Alberti nella nascita della teoria dellarte, e lo definisce semplicemente un autore di "manuali tecnici intorno alle arti";[5] inoltre, travisandone il pensiero, lo accosta a Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, come continuatore della tradizione mistica e cultore di Platone.[6] La situazione non cambia se ci rivolgiamo a opere più recenti, dove non è sempre facile trovare sezioni dedicate al Rinascimento oppure, quando ciò accade, ci si sofferma più sulle poetiche cinquecentesche che non sulla teoria dellarte del Quattrocento, come nel volume I di Momenti e problemi della storia dellestetica o nel Trattato di estetica curato da Dufrenne e Formaggio.[7] Al contrario, basta sfogliare un qualsiasi testo di letteratura italiana o di storia dellarte per trovare ampio spazio dedicato allAlberti. Questo è dovuto a un generale disinteresse della filosofia per la teoria delle arti e, in specifico, alla diffusa tendenza a considerare lestetica una disciplina sorta nella modernità, con Vico, Baumgarten o Kant.[8] Fortunatamente, oggi questa impostazione di studi è stata rivoluzionata dal nuovo metodo inaugurato da Tatarkiewicz,[9] grazie al quale non solo lorizzonte dellestetica si è dilatato fino a comprendere anche i periodi storici antecedenti al Settecento, ma soprattutto si è compreso che ogni epoca articola i saperi secondo forme proprie, riorganizzando i paradigmi concettuali in complessi rapporti di tradizione-innovazione. La soluzione adottata dallo studioso polacco consiste nel rifiutare qualsiasi modello teorico prestabilito, per ricostruire, invece, i percorsi attraverso cui i concetti estetici si sono trasformati, presentandosi, di volta in volta, mimetizzati sotto altre forme. Questo metodo, inusitato nella storiografia, permette di analizzare ogni periodo iuxta propria principia e di individuare, in ogni epoca, tutte le idee che hanno qualche influenza sui problemi estetici, anche allinterno di altre discipline; inoltre consente uno sguardo dinsieme sulla situazione delle teorie dellarte (come abbiamo visto, raramente prese in considerazione) e dellestetica nei vari momenti storici, in modo da presentare un quadro complessivo ed esauriente anche di quei periodi in cui si manifesta una sfaldatura tra lestetica filosofica e quella implicita nelle opere darte. Tuttavia, se negli ultimi anni questo nuovo metodo sta operando una lenta, ma sensibile trasformazione nel panorama storiografico, il terreno dellestetica rinascimentale rimane tuttora poco investigato e, al di là degli studi di Tatarkiewicz e delle opere già menzionate, gli unici contributi significativi in questo campo provengono da due filosofi che si sono occupati di Alberti e, più in generale, della filosofia dellUmanesimo da prospettive diverse, ma complementari: Eugenio Garin da un punto di vista storico; Ernesto Grassi da un punto di vista teoretico.[10] Innumerevoli sono i contributi di alto valore scientifico, volti alla ricostruzione di figure anche minori e allanalisi della vita e del pensiero della civiltà umanistica, che si devono a Eugenio Garin, ma in questa sede interessa soprattutto sottolineare il suo apporto ad uninterpretazione più completa ed organica dellopera albertiana.[11] Come è noto, infatti, a lui si deve non solo la scoperta di un manoscritto contenente alcuni libri, fino ad allora sconosciuti, delle Intercoenales di Leon Battista Alberti, ma anche laver messo in luce limportanza di questo testo, raramente preso in considerazione se non come opera poetica, giocosa, da leggere per divertimento, inter coenas et pocula. Le Intercoenales, insieme agli Apologhi e al Momo, rientrano in quella che solitamente è definita la produzione lucianea di Alberti, in quanto influenzata dallo spirito e dallironia dello scrittore samosatense: merito di Garin è stato quello di aver sottolineato il profondo significato filosofico di queste opere, rimaste spesso oscure a causa del loro carattere allegorico,[12] e di aver avviato una lettura più unitaria e complessiva dellAlberti, che, per la sua poliedricità, fu capace di esprimersi sia nel linguaggio chiaro e razionale dei trattati darte, sia in quello metaforico e allegorico delle opere lucianee. In questa direzione, un notevole contributo alla rivalutazione di tali opere "filosofiche" albertiane e, più in generale, del linguaggio poetico e retorico in età umanistica è stato dato da Ernesto Grassi.[13] Come è noto, egli, contrapponendosi ad una tradizione di pensiero di tipo razionalistico che a partire da Cartesio ha caratterizzato il pensiero moderno, ha individuato nellUmanesimo un modo di filosofare incentrato più sulle metafore, sulle favole, sui miti che sulle categorie della logica e ha sottolineato la preminenza della parola metaforica rispetto a quella logico-razionale. Questultima, infatti, procedendo in modo sequenziale e astratto, risulta arida e povera; la prima, invece, si sviluppa attraverso percorsi intuitivi, cogliendo le analogie e le infinite potenzialità significative delle immagini. Da questo breve excursus emerge chiaramente in che modo ed entro quali limiti i filosofi, ed in particolare gli studiosi di estetica, si siano interessati di Leon Battista Alberti; ma data la sterminata letteratura che ha per oggetto il nostro autore, resta ora da chiedersi chi e secondo quale prospettiva di ricerca si sia invece occupato dellumanista.[14] In linea di massima, si possono individuare due indirizzi: quello costituito dagli italianisti e quello degli storici dellarte e degli architetti. Da entrambi i lati si contano lavori di grande valore scientifico per la ricostruzione storica delle vicende biografiche e dellattività letteraria e artistica,[15] per lattenta analisi filologica,[16] per le nuove chiavi di lettura individuate,[17] per linteresse verso aspetti particolari e specifici dellopera albertiana: saggi che, tramontato ormai lideale burckhardtiano di un Alberti uomo universale e tipico del Rinascimento,[18] cominciano a fare luce sui lati più oscuri e contraddittori dellumanista fiorentino.[19] Si tratta di studi degni di nota, che però, a causa anche della poliedricità dellautore, si limitano inevitabilmente ad un solo aspetto della sua attività, contribuendo così a creare un dualismo tra lAlberti letterato e lAlberti artista; inoltre anche in questultimo caso si tratta il più delle volte di studi di carattere tecnico o storico-artistico, carenti di prospettiva teorica e filosofica. Così alla fine ci troviamo di fronte a questa conclusione: chi si occupa di estetica non si occupa di Alberti e, viceversa, chi si occupa di Alberti non si occupa di estetica. In realtà vi sono dei saggi sia italiani sia stranieri che fanno riferimento già nel titolo allestetica albertiana, ma spesso, presupponendo un aprioristico sistema dottrinale, cadono in pregiudizi filosofici che talvolta determinano interpretazioni fuorvianti e anacronistiche. Infatti, in generale gli studiosi che hanno voluto dare una lettura filosofica dellAlberti lo hanno accostato, seppur in varia misura, allunica corrente di pensiero forte in quel periodo: il neoplatonismo.[20] Così la Behn, secondo la quale le teorie di Alberti, lungi dallaver carattere empirico, costituiscono una Kunstphilosophie intesa a dimostrare la necessità della produzione artistica e, per la tendenza a dare alla forma armonica un contenuto ideale, manifestano una certa inclinazione allidealismo di Plotino.[21] Sulla stessa scia prosegue Flemming, per il quale Alberti diventa addirittura "Schüler Platons und Plotins". Secondo la sua interpretazione tutte le considerazioni sullutilità, lornamento, limitazione rientrano nella parte negativa dellestetica albertiana, mentre la parte positiva è costituita dalla fondazione di unestetica critica di tipo kantiano, che costituisce la vera Aesthetik, contrapposta, secondo un impianto che si rifà alle teorie di Max Dessoir, alla Kunstwissenschaft.[22] Le poche pagine del Guzzo dedicate allestetica albertiana si limitano, in realtà, ad un confronto tra la teoria pittorica di Alberti e quella di Leonardo e, dopo aver constatato laccettabilità sia dei principi enunciati da Alberti sia dei loro opposti, conclude che "non possono essere assunti come principi generali dellarte, ma come principi speciali di unepoca artistica: il Rinascimento", mostrando così, ancora una volta, una concezione dellestetica come sistema teorico aprioristico e universale.[23] Contro questo approccio interpretativo polemizza Santinello, per il quale non bisogna accostarsi allAlberti con un concetto di estetica rigidamente prefissato; inoltre egli lamenta il fatto che gli studi sullestetica di Alberti si basano sui testi espressamente dedicati allarte, mentre, a suo parere, "lestetica albertiana non va disgiunta dalla morale, dalla politica, dalla scienza, dalla pedagogia, dalla visione generale della realtà che egli possiede ed esprime".[24] Quando però, alla fine del libro, Santinello si pone la domanda se "la concezione albertiana del bello e dellarte sia da inscrivere nella storia dellestetica o se, viceversa, essa esprima soltanto il gusto di un pensatore-artista e di unepoca e sia solo un programma darte per il quale si debbano fornire regole e precetti",[25] si capisce chiaramente che anchegli ha una visione precostituita dellestetica come dottrina filosofica, e alla luce di questa valuta la validità teoretica delle idee albertiane. Tra le monografie più recenti dedicate allestetica di Alberti, ricordiamo quella di Mühlmann[26] che, di contro alle fuorvianti interpretazioni fornite secondo una prospettiva idealistico-kantiana, vuole essere un tentativo di riscoprire il vero significato del pensiero albertiano e di tutta la teoria estetica anteriore a Kant, di cui Alberti è un rappresentante particolarmente significativo. Prima della Critica del Giudizio, ovvero, secondo Mühlmann, prima della nascita dell"estetica filosofica", è esistita un"estetica normativa" che ha fornito precetti pratici sulle arti figurative e che, pur non essendo sistematica, non era priva di proprie categorie. Si tratta quindi di scoprire quali siano tali categorie, nel caso di Alberti individuate nella retorica antica, e di valutare in che rapporto stiano con i modelli da cui sono mutuate. Sebbene sia un approccio volto ad una corretta interpretazione dei problemi, il confronto tra le due fasi dellestetica rimane sempre sullo sfondo e, se da un lato può aprire un dialogo interessante tra due diverse prospettive, dallaltro può talvolta impedire una lettura esente da pregiudizi. Infatti, dimenticando che la divisione tra etica ed estetica è post-kantiana, Mühlmann basa la sua analisi principalmente sugli scritti darte e, pur facendo occasionali riferimenti anche ad altre opere, ritiene che gli scritti etico-letterari abbiano scarso peso nellestetica albertiana. Da presupposti del tutto diversi prende spunto il saggio di Jarzombek,[27] che tenta di interpretare lestetica di Alberti proprio attraverso la rilettura dei così detti "scritti minori", in una prospettiva volta a valutare il linguaggio allegorico albertiano che potrebbe aprire la strada ad una visione più unitaria di Alberti letterato e artista.[28] In questo libro Jarzombek si propone di dimostrare come la separazione fra i trattati darte e gli scritti etici e letterari, solitamente attuata dagli studiosi, non solo può portare ad una ricostruzione distorta della filosofia di Alberti, ma contraddice il principio stesso che sta a fondamento della sua speculazione. Se tuttavia per certi aspetti può esser vero che la penetrante satira sociale del Momo riveli molto di più riguardo alle idee di Alberti sullarte e sulla società che non il serio De re aedificatoria,[29] in realtà il libro di Jarzombek non riesce alla fine a dare un grosso contributo allinterpretazione dellestetica albertiana, in quanto, pur partendo da presupposti validi, non chiarisce il differente valore e le oscillazioni di significato con cui i moltissimi concetti etico-estetici si presentano nelle varie opere di Alberti. Per fare solo un esempio, citiamo il caso della concinnitas (ma potremmo dire lo stesso per il concetto di decorum, o per tanti altri ancora), una nozione di origine retorica ma di valenza etica, prima ancora che estetica, e che ricorre, sia esplicitamente che implicitamente, un po in tutti gli scritti dellumanista, assumendo, a seconda dei vari contesti, sfumature diverse: in senso metrico-musicale è adoperata nei libri Della famiglia, in senso retorico nellintercenale Defunctus; valore morale assume nel Pontifex, ma già nel Momo acquista connotazioni estetiche, in relazione alla bellezza architettonica del mondo e alla capacità poietica dellartista, contrapposta alla vanità verbosa del filosofo; infine nel De re aedificatoria, pur risentendo ancora delle origini ciceroniano-retoriche, si trasforma in una vera e propria categoria estetica, anzi nella legge suprema che regola la perfezione dellopera darte.[30] Qualche contributo significativo per lo studio dellestetica albertiana si può trovare in saggi isolati, alcuni dei quali raccolti nel catalogo della mostra mantovana;[31] ma tra le monografie mi sembra che quella di Panza dia unimpostazione diversa e innovativa allanalisi delle teorie dellumanista fiorentino.[32] È interessante rilevare che questo testo, a differenza dei precedenti, rinuncia nel titolo a qualsiasi anacronistico riferimento all"estetica" di Alberti, dato che questa disciplina nasce e viene battezzata solo nel Settecento, ma non rinuncia ad una lettura globale e complessiva dellumanista che tenga conto sia della sua attività di letterato, sia di quella di teorico e artista. Questa "ritrovata" unità, per usare le parole di Dino Formaggio,[33] è stata resa possibile grazie al fatto che Panza ha arricchito i suoi studi di architettura con una preparazione estetologica che gli ha consentito un approccio teorico, sia ai testi letterari sia ai trattati darte, di cui spesso gli italianisti e gli storici dellarte si rivelano carenti. Così la prima parte del saggio si sofferma sulla "filosofia" di Alberti, analizzando le metafore e le allegorie che animano gran parte della sua produzione e la simbologia ermetica di alcune intercenali; la seconda parte invece si incentra sulla teoria delle arti, investigando le origini del concetto di bellezza, la disciplina dellarte, i nessi fra la retorica e le arti figurative, i rapporti fra queste e le scienze matematiche. Si tratta di una lettura aperta a tutte le opere dellAlberti e volta a ricostruire i nessi diacronici che le legano ai modelli antichi. Ne viene fuori un complesso sfondo di influssi e suggestioni, che Alberti trasse da varie fonti e seppe poi rielaborare in maniera autonoma e spesso originale, rendendo difficile lermeneusi dei moderni studiosi che, vittime di una cultura specialistica, finiscono col dare uninterpretazione dellumanista da punti di vista settoriali e, il più delle volte, rimangono ciechi ad altri e diversi orientamenti che potrebbero contribuire ad una più unitaria comprensione dellautore.[34] Forse una soluzione a queste difficoltà ermeneutiche può esser data proprio adottando una prospettiva estetologica nello studio del pensiero e dellopera di Alberti, in quanto questo tipo di approccio, se libero da qualsiasi preconcetto volto a dimostrare teorie già stabilite a priori, consente unapertura ad idee provenienti da diversi ambiti disciplinari, secondo il modello proposto da Tatarkiewicz. Questa prospettiva metodologica, che procede per nuclei concettuali, risulta particolarmente efficace per studiare un periodo come il Rinascimento, in cui le idee estetiche, lungi dallavere ancora un loro luogo teorico definito, si confondono con altre forme di sapere e si mascherano sotto altri nomi. Così, se per Alberti non si può parlare di "estetica" come sistema filosofico, si possono però individuare nel suo pensiero una serie di nozioni che ad un certo punto della loro storia sono diventate fondamentali per lestetica. Abbiamo già accennato alle diverse oscillazioni semantiche del concetto di concinnitas che, mutuato da Cicerone, fu poi rielaborato in modo originale da Alberti, con profonde conseguenze sulla successiva teoria dellarte; e molto si potrebbe dire anche riguardo a quello di decorum o aptum, che sta ad indicare ciò che è conveniente, funzionale, opportuno, e che dalloriginario ambito retorico sconfina in quello etico-sociale, per poi assumere connotazioni estetiche ove si intreccia con il concetto di Bello, che per Alberti è tutto ciò in cui ogni elemento occupa il posto più adatto e appropriato, in modo che nulla si possa togliere, aggiungere o mutare.[35] Si pensi poi alla nozione di ars, che Alberti intende ancora, secondo la tradizione di matrice aristotelica, come competenza produttiva, tanto da accostare larte dellarchitetto a quella del medico e del nauta,[36] avvertendo tuttavia nello stesso tempo come vi siano arti che si distinguono dalle altre, in quanto richiedono un particolare impegno intellettuale da parte dellartefice e che pertanto meritano di essere annoverate fra quelle liberali. È significativo che egli senta lesigenza di dedicare a ciascuna delle tre arti figurative un trattato in cui, affrontando per la prima volta la materia da un punto di vista teorico, rivendica la preparazione scientifica dellartista e la necessità di un metodo rigoroso per ogni disciplina (ad esempio la costruzione prospettica in pittura, o luso del finitorium in scultura). Inoltre, sebbene finora sia passato inosservato, si fa già strada in Alberti una più unitaria e moderna nozione di scultore, nella quale vengono in qualche modo incluse le varie lavorazioni della creta, del marmo, dei metalli, tradizionalmente considerate distinte perché legate a tecniche e materiali diversi. Certo, larte è ancora considerata priva di alcun rapporto "istituzionale" con la bellezza analogo a quello che si è venuto a stabilire in età moderna, attraverso la mediazione del gusto o di qualche altra facoltà preposta allesperienza estetica, eppure Alberti parla di una particolare facoltà dellanimo insita in tutti gli uomini che consente, a dotti e ignoranti, di cogliere il Bello. La percezione della bellezza per lumanista è unesperienza sensoriale, specificamente visiva, accessibile a tutti, ma la sua comprensione, la comprensione delle ragioni per cui ad esempio apprezziamo un edificio, è riservata a pochi: soltanto agli esperti. Daltro canto, la stessa nozione di bellezza si rivela così contraddittoria che Alberti non sa darne una definizione univoca e precisa, oscillando tra una concezione strutturale e una ornamentale del Bello. Queste variazioni, riscontrabili nello stesso De re aedificatoria, si fanno particolarmente evidenti nel confronto tra le varie opere, in quanto la nozione di Bello, ricorrendo in contesti diversi, si carica di sfumature che mettono in luce tutta la complessità di questa "idea" albertiana.[37] Le ambiguità sono connesse in gran parte alle varianti sinonimiche adoperate dallumanista, che talvolta comportano unoscillazione semantica del concetto: infatti se pulchritudo rimanda ad unidea di Bello in senso strutturale e oggettivo, ovvero se è intesa come armonia tra le parti, secondo la Grande Teoria,[38] le parole venustas e amoenitas fanno riferimento ad una nozione diversa, più vicina a "leggiadria" e connessa alla sfera della "grazia",[39] che un ruolo importante giocherà nellestetica dei secoli seguenti. Di conseguenza, la tradizionale immagine di Alberti come teorico di un Bello oggettivo comincia a manifestare alcune incrinature, lasciando intravedere una nozione poliedrica che, aprendosi al rapporto col fruitore, manifesta elementi di soggettività. Si tratta di questioni complesse che in gran parte aspettano ancora di essere chiarite, e di cui solo una lettura esente da pregiudizi teorici può mettere a fuoco il reale significato nel contesto storico-culturale in cui si presentano. Questa prospettiva di ricerca può essere produttiva in due direzioni: da un lato contribuendo ad una più profonda comprensione del pensiero dellumanista fiorentino, dallaltro riscoprendo, nel Rinascimento, idee-chiave che, attraverso percorsi tortuosi e talvolta nascosti, costituiscono snodi fondamentali di quel paesaggio teorico a cui nel 700 sarà dato il nome di "estetica". Note: [1] Si
tratta della rivista della Société Internationale
"Leon Battista Alberti":
"Albertiana", tomo I (1998), edita da Leo S.
Olschki. |
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