11-12/1995
Studi di Estetica
III serie
anno XXIII, fasc. I/II

Novalis
Opera filosofica

voll. I e II
Edizione italiana a cura di
G. P. Moretti e F. Desideri

Torino, Einaudi, 1993

 

 

La natura come arte - l'arte come seconda natura. Il mondo come metafora dello spirito - lo spirito come simbolo del mondo. La bellezza come presentazione finita dell'infinito, di un infinito sempre in atto nel geroglifico, nel frammento. Il gioco delle opposizioni romantiche si impernia su una speciale forma di dialettica, una dialettica che contribuisce a determinare (e a nutrire) quella stagione di "crisi" nella quale la nostra cultura da due secoli continua ad essere immersa. 

Infatti, come scriveva Robert Musil nei suoi Diari: "prima della nostra c'è già stata una crisi culturale": quella del romanticismo. Una crisi che giunge sino a noi, e ci coinvolge, nell'intrigo delle sue molteplici contraddizioni: tra religiosità e secolarizzazione, tradizione e modernità, sentimento e ragione, conservazione e rivoluzione. E, in un altro passo, sempre Musil aggiungeva che fu "l'antica sapienza, da Eckhart fino a Novalis" a fecondare "celestialmente la vita spirituale tedesca".

Un autore fondamentale della "vita spirituale tedesca" e nello stesso tempo protagonista di quel tempo, a noi vicino e lontano, che diciamo la "modernità", è Novalis. Collocato nel punto di intersezione tra i sogni dell'Utopia e il ritorno all'Ordine. L'ultimo trentennio del Settecento. Un periodo che va dal sorgere dello Sturm und Drang all'esaurirsi delle stesse idealità romantiche. Un periodo che Novalis attraversa ed esprime, anche in senso biografico.

Georg Friedrich von Hardenberg, detto Novalis, nasce infatti il 2 maggio del 1772 nei dintorni di Lipsia. Le sue prime composizione poetiche risalgono al 1784. Presto si avvicina ad alcune grandi figure del suo tempo: Fichte, Schelling, Hölderlin. Frequenta Schiller. Stringe amicizia con Friedrich Schlegel. Nel novembre 1794, l'incontro con Sophie von Kühn, allora dodicenne. Nel 1797 Novalis comincia a collaborare all'"Athenäum" e sorge il "circolo di Jena". Dal 1° dicembre 1797 al 12 maggio 1799 frequenta a Freiberg i corsi dell'"Accademia mineraria" per intraprendere, sulle orme paterne, la carriera di funzionario delle saline sassoni. Il suo precario stato di salute si aggrava a partire dal settembre 1800. L'ultima lettera è dell'inizio del 1801. Muore il 25 marzo di quell'anno, non ancora ventinovenne.

Con lui si chiude il Settecento. Un secolo che prepara e spinge innanzi a sé i presagi romantici. In Novalis ritroviamo lo slancio, il sapore del primo avvio. Egli contribuisce ad annunciare i segni di un'epoca nuova, consapevole che "il senso del mondo è andato perduto". La sua formazione è tipicamente tedesca; come è stato osservato, matura tra  un certo pietismo di marca orientale, il misticismo della Slesia, la tendenza speculativa prussiana.

L'immagine che oggi abbiamo del romanticismo è per lo più quella di un movimento legato alla fase involutiva che prepara il congresso di Vienna, ancorato all'epoca feudale, "controrivoluzionario". In realtà il romanticismo ha accompagnato la storia d'Europa assumendone via via le mutevoli forme. Vi è un romanticismo rivoluzionario che guarda al 1789; così come non manca un romanticismo conservatore ed anche reazionario, alfiere dell'ancien régime. Diceva Carl Schmitt che entrambi, sia "il borghese rivoluzionario" che "il borghese reazionario" nel XIX secolo sono seguiti "dall'ombra mobile e cangiante del romanticismo" (cfr. Romanticismo politico, trad. it. a cura di C. Galli, Milano, Giuffré, 1981). L'inizio del romanticismo è il momento più aperto, e duplice: guarda al "nuovo" ma, nel contempo, ha nostalgia dell'"antico". Cammina in avanti con lo sguardo rivolto al passato. In verità solo adesso cominciamo davvero ad accostarci, ai "primi romantici".

Il caso di Novalis, da questo punto di vista, è eloquente. La sua opera ha avuto in Italia uno strano destino: non essendoci mai stata un'edizione completa, essa è apparsa sin qui come sorprendentemente in progress. Si tratta di un autore in gran parte inedito; e sul quale continuano a pesare i pregiudizi dello storicismo, nelle sue diverse varianti.

Un primo pregiudizio consiste nell'idea che i romantici siano "anime belle" (secondo la formula hegeliana), incapaci di misurarsi con la realtà, con le sue asprezze. Un secondo pregiudizio risiede nell'idea che essi siano stati soltanto dei "letterati", dei "poeti". E invece, se guardiamo al loro lavoro, scopriamo che sono stati degli eccellenti filologi e critici e storici e teorici dell'arte e della letteratura. Scopriamo che l'opera novalisiana si compone per il 90 per cento di manoscritti filosofici e solo per il 10 per cento di scritti poetici...

Ma contro i pregiudizi le parole non contano. Contano piuttosto i fatti. Nella vita della cultura, non c'è cosa migliore che intraprendere un'edizione critica. Quell'edizione dell'opera di Novalis che, sinora, in Italia, è mancata. Vi è stata l'attenzione pionieristica di Prezzolini all'inizio del secolo (per i tipi dell'editore R. Carabba di Lanciano, nel 1914). Poi l'opera meritoria di alcuni studiosi come Enzo Paci, che già nel 1948 nella sua introduzione ai Frammenti tradotti da Ervino Pocar seppe riconoscere il significato "teoretico" di Novalis. Vi è stata l'edizione delle Opere curata nel 1982 da Giorgio Cusatelli. Senza dimenticare le pagine anceschiane di Autonomia ed eteronomia dell'arte (1936) sul significativo raccordo espresso da Novalis tra la filosofia tedesca (Kant) e il romanticismo europeo (Coleridge e Baudelaire).

Ora, seguendo la traccia di quanto è già stato realizzato in Germania sulla base dei manoscritti ordinati e parzialmente catalogati da due nipoti di Novalis, Sophie e Karoline (entrambe figlie del fratello più giovane, Anton), dapprima da Paul Kluckhohn e Richard Samuel, con l'edizione storico-critica degli scritti (Lipsia 1929), quindi da Richard Samuel con la collaborazione di Hans Jaochim Mähl e di Gerhard Schulz con le Opere (Stoccarda 1960), Fabrizio Desideri e Giampiero Moretti (del quale è da ricordare almeno L'estetica di Novalis. Analogia e principio poetico nella profezia romantica, Torino, Rosenberg & Sellier, 1991) hanno preparato per Einaudi un'edizione italiana proprio del lavoro più controverso di Novalis: l'Opera filosofica. Dimostrando così, ancora una volta, come il luogo di nascita del romanticismo si situi nella questione filosofica, dell'arte e della poesia. Anzi, per i curatori: "la filosofia di Novalis è una filosofia a tutto tondo da considerarsi al pari di quella dei maggiori pensatori a lui contemporanei" (p. XXII).

Già Winckelmann aveva insegnato come in Grecia l'artista e il filosofo fossero uniti nella stessa persona. Novalis, proprio guardando all'età classica, ha affermato, dal canto suo, che "pensare e poetare sono una cosa sola", che la poesia è il reale, "il reale veramente assoluto". Questo il "nocciolo", un nocciolo che ancora rimane, del suo pensiero.

 

Marco Macciantelli

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