11-12/1995 Novalis La natura come arte - l'arte come seconda natura. Il
mondo come metafora dello spirito - lo spirito come simbolo
del mondo. La bellezza come presentazione finita
dell'infinito, di un infinito sempre in atto nel
geroglifico, nel frammento. Il gioco delle opposizioni
romantiche si impernia su una speciale forma di dialettica,
una dialettica che contribuisce a determinare (e a nutrire)
quella stagione di "crisi" nella quale la nostra cultura
da due secoli continua ad essere immersa.
Infatti, come scriveva Robert Musil nei suoi Diari:
"prima della nostra c'è già stata una crisi
culturale": quella del romanticismo. Una crisi che giunge
sino a noi, e ci coinvolge, nell'intrigo delle sue
molteplici contraddizioni: tra religiosità e
secolarizzazione, tradizione e modernità, sentimento e
ragione, conservazione e rivoluzione. E, in un altro passo,
sempre Musil aggiungeva che fu "l'antica sapienza, da
Eckhart fino a Novalis" a fecondare "celestialmente la
vita spirituale tedesca". Un autore fondamentale della "vita spirituale tedesca" e
nello stesso tempo protagonista di quel tempo, a noi vicino e
lontano, che diciamo la "modernità", è Novalis.
Collocato nel punto di intersezione tra i sogni dell'Utopia
e il ritorno all'Ordine. L'ultimo trentennio del
Settecento. Un periodo che va dal sorgere dello Sturm
und Drang all'esaurirsi delle stesse idealità
romantiche. Un periodo che Novalis attraversa ed esprime,
anche in senso biografico. Georg Friedrich von Hardenberg, detto Novalis, nasce infatti
il 2 maggio del 1772 nei dintorni di Lipsia. Le sue prime
composizione poetiche risalgono al 1784. Presto si avvicina ad
alcune grandi figure del suo tempo: Fichte, Schelling, Hölderlin.
Frequenta Schiller. Stringe amicizia con Friedrich Schlegel.
Nel novembre 1794, l'incontro con Sophie von Kühn, allora
dodicenne. Nel 1797 Novalis comincia a collaborare all'"Athenäum"
e sorge il "circolo di Jena". Dal 1° dicembre 1797 al 12
maggio 1799 frequenta a Freiberg i corsi dell'"Accademia
mineraria" per intraprendere, sulle orme paterne, la
carriera di funzionario delle saline sassoni. Il suo precario
stato di salute si aggrava a partire dal settembre 1800.
L'ultima lettera è dell'inizio del 1801. Muore il 25
marzo di quell'anno, non ancora ventinovenne. Con lui si chiude il Settecento. Un secolo che prepara e
spinge innanzi a sé i presagi romantici. In Novalis
ritroviamo lo slancio, il sapore del primo avvio. Egli
contribuisce ad annunciare i segni di un'epoca nuova,
consapevole che "il senso del mondo è andato perduto". La
sua formazione è tipicamente tedesca; come è stato
osservato, matura tra un
certo pietismo di marca orientale, il misticismo della Slesia,
la tendenza speculativa prussiana. L'immagine che oggi abbiamo del romanticismo è per lo più
quella di un movimento legato alla fase involutiva che prepara
il congresso di Vienna, ancorato all'epoca feudale,
"controrivoluzionario". In realtà il romanticismo ha
accompagnato la storia d'Europa assumendone via via le
mutevoli forme. Vi è un romanticismo rivoluzionario che
guarda al 1789; così come non manca un romanticismo
conservatore ed anche reazionario, alfiere dell'ancien
régime. Diceva Carl Schmitt che entrambi, sia
"il borghese rivoluzionario" che "il borghese
reazionario" nel XIX secolo sono seguiti "dall'ombra
mobile e cangiante del romanticismo" (cfr. Romanticismo
politico, trad. it. a cura di C. Galli, Milano,
Giuffré, 1981). L'inizio
del romanticismo è il momento più aperto, e duplice: guarda
al "nuovo" ma, nel contempo, ha nostalgia
dell'"antico". Cammina in avanti con lo sguardo rivolto
al passato. In verità solo adesso cominciamo davvero ad
accostarci, ai "primi romantici". Il caso di Novalis, da questo punto di vista, è eloquente.
La sua opera ha avuto in Italia uno strano destino: non
essendoci mai stata un'edizione completa, essa è apparsa
sin qui come sorprendentemente in
progress. Si tratta di un autore in gran parte
inedito; e sul quale continuano a pesare i pregiudizi dello
storicismo, nelle sue diverse varianti. Un primo pregiudizio consiste nell'idea che i romantici
siano "anime belle" (secondo la formula hegeliana),
incapaci di misurarsi con la realtà, con le sue asprezze. Un
secondo pregiudizio risiede nell'idea che essi siano stati
soltanto dei "letterati", dei "poeti". E invece, se
guardiamo al loro lavoro, scopriamo che sono stati degli
eccellenti filologi e critici e storici e teorici dell'arte
e della letteratura. Scopriamo che l'opera novalisiana si
compone per il 90 per cento di manoscritti filosofici e solo
per il 10 per cento di scritti poetici... Ma contro i pregiudizi le parole non contano. Contano
piuttosto i fatti. Nella vita della cultura, non c'è cosa
migliore che intraprendere un'edizione critica.
Quell'edizione dell'opera di Novalis che, sinora, in
Italia, è mancata. Vi è stata l'attenzione pionieristica
di Prezzolini all'inizio del secolo (per i tipi
dell'editore R. Carabba di Lanciano, nel 1914). Poi
l'opera meritoria di alcuni studiosi come Enzo Paci, che già
nel 1948 nella sua introduzione ai Frammenti
tradotti da Ervino Pocar seppe riconoscere il significato
"teoretico" di Novalis. Vi è stata l'edizione delle Opere
curata nel 1982 da Giorgio Cusatelli. Senza
dimenticare le pagine anceschiane di Autonomia
ed eteronomia dell'arte (1936) sul significativo
raccordo espresso da Novalis tra la filosofia tedesca (Kant) e
il romanticismo europeo (Coleridge e Baudelaire). Ora, seguendo la traccia di quanto è già stato realizzato
in Germania sulla base dei manoscritti ordinati e parzialmente
catalogati da due nipoti di Novalis, Sophie e Karoline
(entrambe figlie del fratello più giovane, Anton), dapprima
da Paul Kluckhohn e Richard Samuel, con l'edizione
storico-critica degli scritti (Lipsia 1929), quindi da Richard
Samuel con la collaborazione di Hans Jaochim Mähl e di
Gerhard Schulz con le Opere
(Stoccarda 1960), Fabrizio Desideri e Giampiero
Moretti (del quale è da ricordare almeno L'estetica di Novalis. Analogia e principio poetico nella profezia
romantica, Torino, Rosenberg & Sellier, 1991)
hanno preparato per Einaudi un'edizione italiana proprio del
lavoro più controverso di Novalis: l'Opera
filosofica. Dimostrando
così, ancora una volta, come il luogo di nascita del
romanticismo si situi nella questione filosofica,
dell'arte e della poesia. Anzi, per i curatori:
"la filosofia di Novalis è una filosofia a tutto tondo da
considerarsi al pari di quella dei maggiori pensatori a lui
contemporanei" (p. XXII). Già Winckelmann aveva insegnato come in Grecia l'artista e
il filosofo fossero uniti nella stessa persona. Novalis,
proprio guardando all'età classica, ha affermato, dal canto
suo, che "pensare e poetare sono una cosa sola", che la
poesia è il reale, "il reale veramente assoluto". Questo
il "nocciolo", un nocciolo che ancora rimane, del suo pensiero. Marco Macciantelli |
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