11-12/1995
Studi di Estetica
III serie
anno XXIII, fasc. I/II

Baldine Saint Girons
Fiat lux.
Une philosophie du sublime

Quai Voltaire, Paris, 1993

 

 

Fiat lux rappresenta il tentativo più ambizioso e più complesso di riqualificazione della categoria del sublime compiuto in tempi recenti: il proposito è quello di fondare una vera e propria filosofia del sublime. Non si tratta, dunque, di una ricostruzione della storia della categoria alla quale, per altro, molti studiosi e in molti ambiti disciplinari diversi in questi anni hanno lavorato (per rendersene conto basta scorrere Sublime antico e moderno. Una bibliografia di G. Lombardo e F. Finocchiaro, Aesthetica Preprint, Palermo, 1993 che copre gli anni dal 1956 al 1990, in proseguimento del noto repertorio di Demetrio St. Marin), ma di una autentica rifondazione in cui il ricchissimo materiale storico è usato con una intenzionalità filosofica ben precisa. Una parabola completa si è compiuta dagli anni nei quali si parlava di eclisse del sublime, per usare la espressione di Abbagnano, mentre sembra dimenticata la condanna crociana tanto che nell'indice dei nomi del libro della Saint Girons quello di Croce non compare!

Fiat lux deve essere letto secondo la prospettiva particolare in cui è stato costruito che è quella di un "metodo aporetico", perché l'oggetto della ricerca è caratterizzato "dalla sua evanescenza". La grande ricognizione che Baldine Saint Girons compie è una ricerca sulle tracce del sublime che comporta l'attraversamento di opere ed epoche lontane e diverse nonché di ambiti ed arti diverse; il libro si configura quindi come una grande esperienza del sublime.

Da questo punto di vista che il sublime sia una categoria universale o soltanto un'illusione dell'uomo che cerca di trascendere i propri limiti, di andare oltre, ha poca importanza, perché l'aspirazione al superamento del limite è costitutiva delle esperienze umane più alte e in particolare dell'arte. Voglio dire che questo itinerario va percorso anche da chi nega l'idea del sublime, perché è, comunque, un percorso significativo e motivato. Io cercherò di indicare il metodo usato dalla studiosa e di segnalare alcuni esiti importanti.

"Elaborare una filosofia del sublime - afferma la Saint Girons - è costruire la definizione di un oggetto evanescente e ribelle ad ogni canone". "Il sublime costituisce una forma a priori di coscienza, in cui il soggetto e l'altro, il di dentro e il di fuori, il finito e l'infinito, il sensibile e l'intellegibile scambiano le loro posizioni e si generano reciprocamente". "La difficoltà principale di una filosofia del sublime dipende così dalla causalità circolare che mette in opera". Di qui la necessità di distinguere tre elementi che tendono a confondersi: "le qualità proprie alla realtà che sorge, la natura e il grado d'implicazione del soggetto nell'esperienza in corso, i principi e le cause che sembrano motivarne lo svolgimento." Per operare queste distinzioni il metodo adottato è quello della analisi dei rischi, la filosofia del sublime si configura perciò come una tipologia dei rischi. "La dinamica del sublime si sviluppa come un combattimento condotto contro la paura e in una meditazione sulle origini e le ragioni di uno spossessamento che è importante non misconoscere". Poiché il sublime tende a confondere le distinzioni abituali, "esso obbliga a ripensare le relazioni del teorico e del pratico." E quindi i rischi vengono suddivisi nelle due grandi sezioni del sublime teorico e del sublime pratico.

Così nella prima parte del libro: Il bello perduto e ritrovato - Sublime teorico sono collocati: i rischi della grandezza: vasto, infinito, colossale; i rischi della bruttezza: di uno sradicamento dalla quiete del bello; i rischi dell'oscurità: vertigine, energia, contrasto; i rischi della semplicità: l'enigma del Fiat; nella seconda parte: L'io sospeso - Sublime pratico sono collocati invece: i rischi della testimonianza: entusiasmo, stupore, rispetto; i rischi del potere: distruzione e fondazione; i rischi della passione: conflitto e sublimazione; i rischi della virtù: bisogna coltivare il sublime? L'emblema sotto cui si colloca questa grandiosa ricerca del sublime è il Fiat lux di cui Baldine Saint Girons dà una interpretazione originale: "Apri gli occhi! Che l'altro sia!" che significa "l'affinità prima del pensiero con la visione, lo stupore che esista dell'Altro verso il quale io non sono che uno degli innumerevoli sguardi che si innalzano".

Il sublime, quindi, come gloria del sensibile, "il sublime è inseparabile dalla rappresentazione del corpo, e del corpo esposto, sofferente." Il sublime non è mai astrazione. Certamente esistono altre ragioni per fare del Fiat lux un emblema, "il sublime del Fiat lux si è imposto a tre tradizioni nelle quali si è elaborata la categoria: giudaica, greca e cristiana". E chi legge lo Pseudo-Longino trova sicuramente la citazione del Fiat lux la più folgorante fra le innumerevoli che costituiscono il tessuto del Perì hypsous. "L'enigma del sublime è che il miracolo della nascita della luce possa proseguire nel racconto e nelle immagini che ne consegnano l'avvenimento".

La felicità euristica di questa impostazione risulta concretamente dalle novità che emergono nella trattazione di un materiale certamente molto ricco, ma spesso anche ben noto, sulla base della tipologia dei rischi (i punti di riferimento obbligati restano Longino, Burke e Kant).

Per una valutazione complessiva adeguata occorrerebbe l'intervento di più specialisti che scrivessero una recensione a più mani: qui basterà segnalare alcuni momenti esemplari.

L'indagine sul colossale "come momento intermediario fra essere e non essere, come resto ambivalente e monumentalizzato" nel capitolo sui rischi della grandezza; il brutto individuato "come esperienza limite che sarebbe il vissuto della morte"; le pagine straordinarie su l'oscurità, il colore e il sublime; la connessione fra la semplicità del sublime e certe tendenze dell'arte moderna: la pittura-scrittura, l'arte non figurativa, il minimalismo, l'arte della sensazione pura; le pagine su Michelangelo e Montesquieu; le annotazioni sul sublime della rivoluzione francese; l'individuazione di una poetica dell'eclisse a proposito di Burke; l'interpretazione del logos longiniano sviluppata sulla base di alcune suggestioni di Ernesto Grassi.

Deve essere inoltre sottolineata la costante qualità della scrittura, dimensione necessaria per una filosofia che si gioca tutta sul rapporto fra sensibile e sovrasensibile e qualità autenticamente longiniana: è un topos dei commentatori del Perì hypsous osservare che l'autore è sublime, quando parla di sublime.

Come campione di questa scrittura e punto d'arrivo del percorso può valere questa pagina tratta dalla conclusione: "... il sublime sorge quando noi crediamo di accedere alla sorgente trascendente del linguaggio. Un'anima artista ci viene allora restituita, perché questo mondo d'apparenze o di esistenze intermediarie sempre in via di costituzione, noi l'accogliamo e noi lo prolunghiamo.

Il proprio del sublime è allora di cortocircuitare l'opposizione fra significante e significato, rappresentante e rappresentato, espressione ed espresso, simbolizzante e simbolizzato. Esso non appartiene veramente né all'universo dei significanti che si organizzano al mio posto, né alla serie delle immagini che mi hanno storicamente cattivato e costituiscono il Me come fantasma. Esso si impone come sorgente di ogni simbolo e di ogni immagine e implica dunque la sospensione della legge come tale, ma, anche, l'assenza di ricaduta in un mondo onirico strettamente privato. Il sublime si situa al di là di questa opposizione, perché costituisce l'irruzione di una causalità della quale io non sono padrone. I segni originari non appartengono né alla realtà né all'ordine simbolico. Sempre allo stato nascente, essi sono indeducibili, come afferma Ernesto Grassi. " 'La parola parla per se stessa' in una erranza permanente, in cui il segreto, appena rivelato, si sottrae di nuovo. Troppo utilizzata, l'immagine-segno perde il suo potere di magnetizzazione; essa richiede il ritiro e l'oblio per ritrovare la sua efficacia."

È evidente l'affinità con la filosofia di Ernesto Grassi, per altro qui e altrove esplicitamente citato; significativamente nella collana La République des Lettres, diretta da Alain Pons, in cui Fiat lux è stato pubblicato, è apparsa anche la traduzione francese de La Metafora inaudita dello stesso Grassi. C'è dunque una ascendenza heideggeriana filtrata attraverso l'interpretazione originale di Grassi che, merita di esser ricordato, aveva affrontato Das Problem des Erhabenen già nel 1942, molto prima, dunque, della moda attuale del sublime, in un contributo comparso in Geistige Überlieferung. Das zweite Jahrbuch. Sottolineo questa circostanza non per indicare un debito da parte di Baldine Saint Girons, ma per rilevare come la lezione di Ernesto Grassi, un filosofo di cui la cultura italiana sta scoprendo piuttosto in ritardo l'importanza, sia stata intelligentemente accolta e sia presente in un'opera che è la più complessa e motivata rivendicazione dell'attualità filosofica del sublime.

 

Emilio Mattioli

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