7/8/1993 Hermann Koller La mimesis nell'antichità* Impostazione del
problema La
nostra ricerca riguarda un concetto fondamentale della Poetica aristotelica che fino ad oggi non ha trovato alcuna
esposizione. Mentre la catarsi della definizione tragica
richiama continuamente nuove soluzioni, la mivmhsiı
rimane per lo più indiscussa. Naturalmente, si sa che il
concetto, nella Poetica,
non può significare la semplice imitazione della natura,
anzi, con una lettura più precisa, si può stabilire che
questo significato è propriamente escluso. Come può dunque
Aristotele arrivare a scegliere quale fondamentale nella sua Poetica
un concetto appartenente con evidenza anche ad altre sfere,
senza rispondere a questo domanda? La risposta è chiara: deve
aver assunto la mivmhsiı già come concetto tecnico.
L'interpretazione, elaborata sin qui secondo tale punto di
vista, è orientata (più o meno coscientemente) verso
Platone, e più precisamente verso la mivmhsiı del decimo
libro della Repubblica
e coglie in Aristotele una caratteristica trasfor-mazione del
suo contenuto di pensiero, giustificata in quanto còlta dal
punto di vista moderno. L'apparente orientamento dei Greci
verso la natura, a partire dal rinnovato interesse per
Aristotele nel Rinascimento, ha spinto l'intera estetica
moder-na alla contraddizione, oppure all'adesione forzata.
Tuttavia, la fondazione della poetica sul concetto di
"imitazione" è realmente così ovvia? Certo è difficile
immaginarsi un diverso punto di partenza per una teoria del
fare poetico, poiché veniamo continuamente ricondotti ad
Aristotele. Inoltre, ad una simile concezione dell'arte si
oppone l'inclinazione co-mune che nella "Realtà" trova
l'unico sostegno rispetto all'incomprensibilità della
pura creazione poetica nella sua autonomia. Siamo consolati
dal fatto che l'antica concezione della poesia va accettata
semplicemente come diversa e va tenuta a distanza dal nostro
moderno sentire, definito com'è dal romanticismo. Appare
allora molto grande, anzi realmente incolmabile la distanza
tra la poesia greca, a noi ancora acces-sibile, e la teoria
antica. Ovviamente esistono anche nell'antica poesia le
rappresentazioni della realtà, le scene stridenti, lo schizzo
psicologico tratteggiato fino ad un certo grado. Sorprende
tuttavia che la teoria, che dovrebbe aver introdotto il
concetto di "imitazione", non sia orientata verso simili
feno-meni letterari! Se seguiamo le tracce della mimesis, ci
imbat-tiamo in particolari difficoltà. Il primo esteso
rapporto della mimesis con la poesia lo troviamo nel terzo
libro della Repubblica
di Platone. Che su questo problema sia già stato scritto così
tanto non deve farci ingannare sul fatto che sino ad oggi non
è stata ancora elaborata alcuna soddisfacente interpretazione
testuale di questo libro. Ciò dipende, a mio avviso, dalla
particolarità del concetto di mimesis, così come viene qui
impiegato da Platone. Le difficoltà, per noi moderni, sono
state illustrate drasticamente da G. Krüger
nell'introduzione alla traduzione della Repubblica
(p. 49)[i]:
In questa discussione fortemente
ironica (del terzo e del decimo libro) tutto si fonda sulla
tesi che l'arte è imitazione, tesi
che troviamo (corsivo mio) non
solo in Platone, ma anche in Aristotele e in tutta
l'antichità (unitamente alla tradizione da essa
determinata). Come lettori moderni tuttavia osserviamo già
qui - prima di ogni paradosso già visto e voluto da Platone
stesso - una fondamentale difficoltà. Ci immaginiamo con il
termine imitazione qualcosa come una riproduzione meccanica,
fotografica del reale che noi, con diritto, valutiamo essere
il contrario dell'atteggiamento este-tico. Anche il
naturalismo, che vuole la "verità" disillusa e non la
"bellezza" stilizzata, ci sembra giustamente essere
qualcosa di diverso; una forma particolare di creazione
arti-stica, che utilizza solo la rappresentazione disincantata
della realtà quotidiana, senza che in ciò risieda
l'essenza dell'arte. Successivamente
(p. 50): Arte per noi non è imitazione del
reale, piuttosto è creazione di un altro mondo, derivante
dalla fantasia dell'artista, un mo-ndo che - se osservato
dal punto di vista della "fedeltà" della rappresentazione
- accanto al primo, quello reale, possiede il carattere
dell'illusione. Krüger
ritiene che l'antica tesi dell'imitazione "non
possa fondarsi semplicemente su di un'assenza universale di
signi-ficato per l'arte dell'antichità"
(corsivo mio), ma che si fondi piuttosto su di una
comprensione del mondo fondamental-mente diversa, secondo la
quale, al greco, il mondo stesso originariamente non sarebbe dato
come quintessenza di una realtà semplice ed obiettiva,
piuttosto quale personificazione di forze meravigliose,
superiori e significative (nel doppio senso della parola). Se si parte da questo tipo di
esperienza del mondo, allora la tesi che l'arte è
imitazione diventa assolutamente compren-sibile: se il
rapporto con il mondo, nella comune esperienza umana, è già
così "artistico", allora c'è bisogno realmente solo di
esprimere e rappresentare, dunque di "imitare" ciò che è
significativamente commovente, il bello ed il meraviglioso che
nel mondo stesso è già dato. Abbiamo
riportato queste lunghe citazioni poiché esse espongono
realmente il problema con la massima precisione. Il tentativo
di soluzione indicato risulta certo ad un primo approccio
affascinante, di fatto però è problematico, come si mostrerà
nel prosieguo della nostra ricerca. Con ciò, non deve essere
in alcun modo messo in discussione il fatto che il mondo
spirituale dei Greci è diverso dal nostro. L'accesso ad
esso non lo troveremo certo attraverso speculazioni, piuttosto
solo con un'aperta e paziente interrogazione dei testi
stessi. Ci
sentiamo perciò spinti ad indagare su questa mimesis
procedendo anzitutto lessicologicamente. In un breve capitolo
iniziale, sulla base di alcuni esempi scelti tra centinaia di
documenti, deve essere tracciato il campo di significato di
mivmhsiı. Se prendiamo in considerazione tutte le sfere,
in particolare la presenza non tecnica di mimesis, siamo costretti alla constatazione che il
significato di questa non coincide con la nostra
"imitazione", "imitatio"; "imitazione" occupa
so-lo un piccolo segmento del campo di significato della mimesis.
Accanto all'interpretazione del terzo e decimo libro della Repubblica
di Platone, nei quali la mimesis
è di un'importanza particolare, dobbiamo prendere in
considerazione tutte le restanti antiche fonti; poiché il
concetto tecnico di mimesis deve trovare in qualche luogo il proprio sostegno
nell'uso linguistico comune. Per ciò che riguarda l'uso
tecnico di mimesis,
dobbiamo prestare attenzione all'annotazione di un esimio
conoscitore della terminologia scientifica, E. Frank:
In contrasto con la concezione
moderna, per i Greci la musica è l'arte propriamente
mimetica. Dobbiamo
chiederci ora su che cosa si fondi questa dif-ferenza rispetto
alla nostra concezione. O il nostro rapporto con la musica è
divenuto qualcosa di completamente diverso, oppure, il che è
più verosimile, il significato di mivmhsiı è
completamente diverso per i Greci che per noi. In effetti, uno
sguardo ai maggiori dizionari ci insegna come vengano in
genere distinti due gruppi: a) "imitare", b) mimei`sqai
per musica e danza, per cui si è portati a pensare che il
significato b) sia derivato da a) attraverso una traduzione.
Tuttavia, le nostre fonti più antiche per mimei`sqai sono
rintracciabili sotto b). Se il concetto di mimesis,
come afferma Frank, sembra essere associato
primariamente alla musica greca, e le prime testimonianze di
questo termine sono rintracciabili anzitutto nella musica, e
se d'altra parte, come vedremo, in campo letterario, con il
significato di "imitazione", questo concetto pone
difficoltà insormontabili, appare certo giustificato porre
per una volta, appunto, tale concetto al centro di una
ricerca. Sviluppo del
concetto di mimesis Dobbiamo
ancora una volta osservare l'itinerario che abbiamo
percorso, poiché, costretti dal tipo di documenti, non
possiamo scindere la ricerca concettuale dalla
rappresenta-zione teorica e storica. Punto di partenza del
nostro lavoro è stato il concetto di mimesis
nella Poetica aristotelica.
Esso ci ha indotto ad una estesa verifica di tutte le
testimonianze di mimesis a
nostra disposizione. Da questa è risultato che mivmhsiı può
significare "imitazione" ma che il termine pos-siede
inoltre un campo di significato completamente diverso rispetto
alla espressione "imitazione", "imitatio". Il
suo cen-tro significativo risiede nella danza.
Mimei`sqai significa pri-mariamente "condurre attraverso la
danza alla rappresentazio-ne". Alla danza greca si legavano
sempre, contemporanea-mente, ritmo, accompagnamento musicale e
parola narrante. L'osservazione che mi``moı e tutti i
concetti da esso derivati sia-no originariamente propri solo
della sfera del culto, e precisa-mente del culto orgiastico,
come il fatto che, nonostante l'ap-plicabilità metrica,
essi non compaiano nella prima lingua let-teraria, e non
offrano connessioni con lingue indogermaniche, ci porta alla supposizione
che mi``moı indichi l'attore e la ma-schera
del dramma cultuale dionisiaco. Indipendentemente dal
tentativo di spiegazione, è certo che mimei`sqai indica una rap-presentazione danzata e
che da qui si sono sviluppati i suoi successivi impieghi. La
tabella che segue deve raccogliere in forma di sunto la nostra
ricerca. La
tabella non pretende di offrire uno sviluppo cronologi-co del
concetto di mimesis.
Il genere delle nostre testimonian-ze non lo consente. Essa
deve tuttavia illustrarne lo sviluppo ideale. sviluppo
del concetto di mimesis
Con
ciò non va dato particolare peso al primo approccio secondo
il quale mi`moı = attore di un dramma dionisiaco: si
tratta qui di nulla più che una supposizione. Per mimei`sqai
ci si deve tuttavia attenere al significato sostanziale di
"rappresen-tazione danzata". Solo da questo punto di
partenza risulta lin-guisticamente incontestabile la divisione
dei significati in "imitare" e "rappresentare"; essa
non lo è più infatti se a-dottiamo come punto di partenza
"imitare". La linea perpen-dicolare centrale indica la
costanza dell'uso primitivo attraver-so l'intera storia
linguistica greca. Le connessioni orizzontali devono indicarci
le interferenze, chiaramente comprensibili nelle nostre
interpretazioni, tra i due significati. Questa ricerca sui
termini ci ha condotto contemporaneamente alla fonte del
concetto teorico
di mimesis. Ciò
che, in forma estremamente abbozzata, abbiamo potuto presumere
dall'analisi del terzo libro della Repubblica
di Platone, dalle parti sulla danza greca nelle Leggi,
dai capitoli della Politica
di Aristotele sulla musica pedagogica, riceve una sorprendente
chiarificazione e conferma dalla presa in esame del secondo
libro del peri; mousikh``ı di Aristide Quintiliano: i
Pitagorici del V secolo hanno riconosciuto i fenomeni delle
danze cultuali orgiastiche nel loro significato terapeutico ed
hanno assunto queste danze nella loro educazione. A partire
dall'osservazione dell'entusiasmo, essi sviluppano la
prima teoria dell'espressione, comprendente tutte le
possibilità espressive umane, teoria che venne rafforzata
attraverso una grandiosa dottrina sull'origine della
cultura. Il risultato del nostro studio lessicologico coincide
quindi pienamente con quello teorico. Nel
corso delle nostre ricerche abbiamo potuto mettere in evidenza
diverse sfumature dell'antica dottrina della mimesis. Nella
teoria della musica la sua origine, naturalmente, è ancora più
chiaramente comprensibile. Nella retorica,
come vedremo nella seconda parte, essa si fece largo
attraverso Gorgia. In questi, tuttavia, si incontra già un
trasferimento della teoria espressiva alla poesia, a partire
dal quale egli reclama per il linguaggio prosastico lo stesso
valore proprio della poesia. Ciò nonostante nella mimesis originaria, musicale e propria della danza, non si
ritrova ancora alcuna applicazio-ne alla poesia. Infine, la
concezione linguistica cratilea si fonda ugualmente sulla
teoria della fuvsiı pitagorica. Platone,
mentre nel terzo libro della
Repubblica, con le restrizioni etiche del concetto
teoretico-musicale della mimesis
(con il prevpon come misura), crede ancora di poter condurre
la battaglia contro Omero, nel decimo libro desiste
assoluta-mente. Qui procede con le armi più sottili della sua
dialettica. La mimesis
è ora solamente un'imitazione di terzo grado, alla quale
non spetta più alcun contenuto di verità. Egli qui si
contrappone inoltre (non ancora nel terzo libro) alla
"poeti-ca" delineata da Gorgia, al centro della quale non
viene posto l'epos, ma
la tragedia. Sguardo
retrospettivo Al
termine del nostro lavoro, dobbiamo richiamare ancora una
volta alla memoria la portata del punto di vista
storico-intellettuale dell'antica teoria della mimesis
nelle sue singole tappe. Il
punto di partenza è stato offerto dalle considerazioni
linguistiche in merito al concetto di mimesis,
relativamente a come esso è stato impiegato nella poetica
teorica, soprattutto in quella di Aristotele. Risulta che il
tradizionale significato di "imitazione" è erroneo e
comprende solo una piccola parte del campo di significato
greco. Attraverso
le nostre considerazioni siamo stati condotti al centro del
significato di mimesis,
che si trova nella danza. Certo quest'osservazione non ci ha
offerto solo la chiave per la comprensione del concetto di mimesis
del linguaggio
corrente. Piuttosto abbiamo dovuto sottolineare il
fatto che anche il concetto
teorico di mimesis si è sviluppato attraverso la
danza cultuale catartica. Con i Pitagorici del V secolo avanti
Cristo, esso divenne il punto di partenza di una teoria
espressiva riccamente sviluppata, le cui conseguenze abbiamo
tentato di abbozzare nella seconda parte del lavoro. La danza
greca quale unione di parola, melodia, ritmo e gestualità
configurava realmente l'unità naturale dell'espressione
umana. La mimesis rimane
perciò sempre legata all'uomo, essa è il suo divenire
nella forma. Eppure quest'unità non è il risultato di
un'addizione delle singole componenti, e questo è il fatto
decisivo, ma rappresenta anche la difficoltà per la
comprensione moderna. Noi
conosciamo una pura arte della parola ed una musica assoluta,
indipendente dalla parola; la danza più che mai, e la nostra
esperienza del ritmo, sono sostanzialmente senza parola,
legate al tempo della musica e indipendenti dalla melodia. Il
termine greco come tale, al contrario, comprende in sé il significato
e la melodia della parola,
che sempre si manifesta, anche nell'uso più profano, quale
movimento melodico, all'interno di una quinta (Dion.-Halic.).
Attraverso le sue quantità
determina il ritmo della frase, al quale si subordina il
movimento del corpo. Va compresa in questo modo la frase di
Platone in Repubblica 338a: to; mevloı ejk triw``n ejstin
sugkeivmenon, lovgou te kai; aJrmonivaı kai; rJuqmou`...
Kai; mh;n th;n ge aJrmonivan kai; rJuqmo;n ajkolouqei``vn
dei`` tw/` lovgw/. Questa
unità di ritmo, armonia e logos presupposta nella parola
greca, ma nella sua forma artistica, era la Mousiké.
Essa si afferma dunque in questo senso solo in una lingua
senza accentuazione, quantitativa e musicale come il greco (cfr.
Georgiades, Der griechische
Rhythmus, Hamburg, 1949). Tuttavia
anche il superamento teorico
della musica rispec-chia l'unità originaria. Nelle prime
opere peri; mousikh``ı tutti
gli ambiti dell'espressione artistica vengono di fatto
illuminati da questo centro. Anch'essi si dividono nei
diversi capitoli del ritmo (metrica), hypokrisis
(actio), melodica, poetica, stilistica. Eppure
quest'intera teoria non è una costruzione eseguita con
materiali di diversa provenienza. Piuttosto, le singole
com-ponenti sono solo le superfici di un cristallo, poste
sotto una particolare illuminazione. Non esiste ad esempio
ancora la grammatica intesa quale scienza autonoma
dell'espressione puramente linguistica, mentre anzi ci è
tramandato che per Democrito e Archita (cfr. Frank, Plato und die sogennanten Pythagoreer, Halle a.S., 1923, p.
169, 35A 19b Diels) la grammatica è compresa nella musica.
Non si tratta di un'ope-razione addizionale, piuttosto
dell'espressione del rapporto originario. Anche
a prescindere da Aristide Quintiliano, di questo antico
sistema si ritrovano parecchie tracce, già indicate da E.
Frank (op. cit.
p. 167). L'antico impegno con i problemi del-l'espressione,
con la musica, può essere compreso e giusta-mente valutato
solo a partire da quest'unità. In ogni caso dob-biamo
cambiare i nostri punti di vista, poiché esso influenza anche
la nostra posizione rispetto alla poesia greca. Senza
considerare ciò, applichiamo il moderno concetto di una
letteratura esclusivamente legata al significato, al greco che
fino all'epoca classica non conoscerà alcuna letteratura. Su
questi presupposti, per noi di solito assolutamente inconsci,
e sul loro superamento, si è soffermato efficacemente
Georgiades: Solo se il modo di comprendere dal
punto di vista scientifico gli antichi Greci include anche
questo momento (cioè la parola quale corpo autonomamente
musicale, simbolicamente razionale) come indispensabile per la
comprensione del senso, ci troveremo di fronte ad un processo
storico-letterario ade-guato alle espressioni testuali greche,
uno strumento per comprendere non l'antica poesia greca -
poiché non è mai esistita -, quanto piuttosto la Mousiké,
questo particolare strumento, veicolo di
significato, altrimenti sconosciuto nella storia europea. Questa
unità doveva venire meno non appena una delle componenti
avesse preso il sopravvento. Già nel V secolo si delinea una
separazione tra le componenti musicali sotto l'influsso
dell'aulos,
che, diversamente dalla kithara,
era da sempre più incline verso l'arte solistica. In una
recitazione di satiri di Pratina il coro si oppone all'aulos,
il quale, secondo l'uso, dovrebbe solo
accompagnare ed ora invece si arroga il ruolo di guida.
Giustamente Pratina vede in questo sviluppo una rivoluzione
dell'intera vita musicale, che porterà via con sé tutte le
antiche forme. Ma in particolare, lo sviluppo solistico del
ditirambo attraverso Filosseno, Timoteo e Teleste, conduce a
forme completamente nuove, ad una piena auto-nomia della
melodia, ad un deprezzamento della parola, che per noi è
verificabile anche nei Persiani
di Timoteo, all'ob-bligo della risposta, per cui il
ditirambo diviene puramente letterario e non può più essere
danzato da un coro. Da tutto ciò risulta spianata la strada
all'affermazione del mimo, che nell'epoca successiva
diverrà l'unica forma di danza presente. Il
logos guadagna
interamente la propria autonomia nella retorica di Gorgia, il
quale raccoglie propriamente l'eredità dell'antica
musica. Egli trasferisce le forme liberate del ditirambo nella
lingua della prosa, dove esse sono ancora esclusivamente
piacere esotico ed ornamento, vano gioco artistico con
consonanza, isosillabismo, equilibrio delle con-giunzioni, che
non sottostanno più alla legge musicale un tempo
determinante, ma sono diventati autonomi. Certo Gorgia non
rappresenta solamente l'eredità dell'antica musi-ca;
anche il fondamento teorico per la sua nuova arte della parola
egli l'ha assunto dalla teoria della
mimesis dei suoi precursori, fatto questo che
apportò un cambiamento radicale nell'interpretazione,
rendendo più difficile il riconoscimento del collegamento.
Attraverso di esso, la psicagogia origina-riamente musicale,
la teoria dell'ethos delle
forme espressive e la creazione della ritmica, vennero
trasferite anche nella prosa e nella teoria retorica. Accanto alle contemporanee
osservazioni critiche di un Pratina, di Ferecrate, in generale
di tutti gli scrittori di comme-die, la reazione dei
sostenitori dell'antica musica, minacciata nella sua essenza
intrinseca, la si comprende presso gli "antichi",
presso Damone e Platone. La differenza si mostra in
particolare nella contrapposizione di entrambe ai critici
della commedia. Per entrambe le parti, il processo storico
oggettivo con cui vogliono confrontarsi è lo stesso. Mentre i
primi tuttavia si accontentano, con un ostinato
conserva-torismo, di inveire contro le deviazioni dagli
antichi costumi dei padri, Damone, al quale si aggiungerà
Platone in una succesiva generazione, tenta di comprendere
l'antica e minac-ciata Mousiké
nella sua profondità nel momento stesso in cui
scopre i segreti rapporti con l'anima umana. In questo i
Pitagorici, con la loro dottrina dell'ethos,
sviluppata a partire dalla musica
catartico-terapeutica, gli hanno efficacemente spianato la
strada. Verosimilmente era soprattutto Damone colui che
utilizzò le loro conoscenze nella battaglia per la musica
antica e tentò di salvare gli antichi utilizzando le loro
distinzioni etiche. Nel suo Protreptikos
agli Areopagiti egli deve aver offerto un quadro illuminante
della cultura musicale dell'antica Attica ed accennato ai
radicali mutamenti politici, i quali portarono con sé un
indebolimento delle antiche forme d'esercizio musicale.
Sembra tuttavia che anch'egli, come più tardi Platone,
abbia preso in considerazione solo la musica propriamente
pedagogica dei Pitagorici, e se ne comprende la ragione
ricordandosi la sua intenzione: l'aulos, lo strumento
specifico della musica catartica, aveva in primo luogo sulla
coscienza le novità da questi combattute. Come Damone aveva
trovato una volta nella musica etica il criterio per
l'antica Mousiké,
ugualmente Platone, successivamente, tentò ancora una volta
di condurre, con lo stesso criterio, la battaglia per una
poesia etica (Repubblica,
libro III). In questo modo esige questi la realizzazione di
postulati che già in Damone figu-ravano quali forme compiute
dell'ideale ed antica cultura musicale. La minaccia
all'antica Mousiké aveva
mobilitato tutte le controforze. Ad essa dobbiamo in primo
luogo la conoscenza della teoria pitagorica della mimesis
e la sua ulteriore configurazione attraverso i
musicisti della scuola di Damone. Nel
rapporto fondamentale dell'anima umana con le sue forme
espressive, ritmo, gestualità, melos,
logos, si fonda una teoria sull'origine della
cultura umana, della musica e della poesia, sino ad oggi quasi
non ancora presa in considerazione, a noi accessibile per la
prima volta nelle Leggi
di Platone, e da questi tuttavia esposta come fosse da tempo
nota. Gli "Antichi" di Aristide Quintiliano ci mostrano
che in questo modo vengono realmente rappresentate le prime
idee pita-goriche. Conseguentemente l'uomo, già nelle sue
prime espressioni vitali, risulta determinato da melodia e
ritmo e da questi si lascia influenzare. L'espressione
ritmica, musicale, è per lui una necessità naturale che non
può essere soppressa. Uomini il cui animo era particolarmente
predisposto al ritmo, alla melodia e al canto, da
improvvisazioni fecero prorompere i primi, molto semplici e
poco artistici canti e poesie, a gloria degli dèi e lode
degli eroi. Musica e danza erano ancora legate ai luoghi della
venerazione degli dèi. Semplici giochi di danza legati ad un
testo cantato rappresentavano la realizzazione più compiuta
dell'antica musica. Esse vennero più tardi chiamate Hyporchemata.
I primi cantori erano contemporaneamente veggenti e saggi, che
con la loro musica fondavano anzitutto la comunità umana,
facendo leva sul senso del controllo ritmico e dell'ordine
degli impulsi, sonnecchiante in ogni essere umano. Sono
all'incirca questi i tratti della teoria preplatonica
sull'origine della cultura dallo spirito della musica.
Alcune delle sue forme più tarde, ma ancora antiche, le
abbiamo già apprese. Esse precorrono l'era moderna. Quando
Giambattista Vico nel XVII secolo riscopre la "lingua
originaria" del-l'umanità nella poesia, egli può
riferirsi giustamente alle an-tiche fonti che qui abbiamo
riproposto. La vecchia disputa tra Nomos
e Physis o tra Thesis
e Physis, già
frequente tra gli antichi, si ripropone con nuovi termini.
Sarebbe dunque errato cogliere in questo precursore dello Sturm
und Drang e del Romanticismo l'irrompere di un
sentimento di vita comple-tamente nuovo, estraneo agli
antichi. Il magister
rhetorices napoletano si sentiva attratto da
un'affinità spirituale verso quelle fonti che gli
promettevano una liberazione dal rigon-fiamento barocco delle
forme e dalla sterile poetica delle regole. La sua riscoperta
della teoria pitagorica della mimesis
- poiché in lui si tratta di questo, sebbene non ne fosse
comple-tamente cosciente - doveva rappresentare un impulso
inatteso per la vita intellettuale dell'epoca moderna. Non
tutti gli sviluppi della teoria della mimesis
sono crono-logicamente, anche solo approssimativamente,
determinabili. L'impulso ed i temi principali sono
riconducibili tuttavia unitariamente alla fine del V secolo,
sebbene Aristosseno e il Peripato su molti dettagli possano
aver lavorato in seguito. Le scoperte avvenute grazie ad
Archita all'inizio del IV secolo nel campo dell'acustica
non si riferivano più all'antica teoria della musica
fondata sull'etica. Questo
non contraddice certo al fatto che Aristosseno da Taranto
possa rappresentare entrambe le direzioni, poiché la nuova
acustica scientifica si occupava solo dei fondamenti
fisico-matematici dei suoni e solo su questi poteva offrire
risposte. In
un'epoca nella quale si erano già da tempo sviluppate e
rese autonome le singole discipline della grammatica, della
logica, della metrica, della teoria musicale fondata sulla
fisica (acustica), della Hypokrisis
retorica, della stilistica, della poe-tica, l'antica Mousiké sopravviveva nella stilistica dei Kritikoi,
almeno per quanto riguarda l'ambito dell'espressione
lingui-stica, come pure in tante trasformazioni che oscuravano
i rap-porti originari, ed in queste stesse singole scienze. La
sua storia acquista una dimensione in più, se la si
ripercorre sino a queste origini, se vengono realmente prese
in considerazione le fonti teorico-musicali. Come
nel caso della mimesis,
anche in queste ricerche non può essere sottovalutato il
ruolo della terminologia greca. Unicamente i Greci, accanto
alla prima scienza europea, sep-pero creare contemporaneamente
la terminologia scientifica in grado di offrire chiarimenti
anche sul più vasto ambito con-cettuale all'interno del
quale si sono sviluppate le singole scienze. La possibilità
di ridisegnare questo con la massima scrupolosità si offre
unicamente attraverso una comprensione puramente storica del
suo sorgere e della sua implicazione con la totalità degli
uomini. [Traduzione di Vito Punzi] *
Le pagine qui antologizzate di H. Koller,
Die Mimesis in der Antike, Berna, Francke,
1954, sono le seguenti: pp. 9-11, 119-121, 210-214. Si
pubblica per gentile concessione dell'Editore, che qui
ringraziamo. [i]
Cfr. Platon, Der Staat,
intr. di G. Krüger, nuova trad. di Rudolf Rufener, Zürich,
1950, p. 4; E. Frank,
Plato und die sogennanten Pythagoreer, Halle
a.S., 1923, p. 11; Th. Georgiades, Die
griechische Rhythmus, Hamburg, 1949.
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