6/1992 Luciano Anceschi I. Premesse Quest'anno
il nostro corso monografico verterà su un tema che, suppongo,
debba interessarci tutti, come studiosi e come ricercatori. Il
tema sarà la lettura,
e ovviamente coinvolgerà anche l'argomento del corso
istituzionale, che sarà la critica letteraria. La
lettura, dicevo; che
cosa intendiamo quando usiamo la nozione di lettura;
quali sono le forme della lettura.
È certo difficile trovare un tema che ci impegni di più.
Leggiamo per il piacere di leggere; leggiamo per studio; leggiamo
mossi da infinite sollecitazioni; si è perfino, in altri tempi,
proposta la "poetica del lettore"... La
lettura appare come un momento essenziale della nostra vita. Anche
se la lettura, come mezzo di comunicazione, è ora minacciato da
altri modi di comunicazione e da un ridondante uso dell'immagine
(e si veda che cosa dice Mc Luhan nel suo Medium
e messaggio), essa resta sempre un elemento costitutivo
fondamentale per la nostra formazione. Non affronteremo ogni tipo
di lettura. Lasceremo, per un momento, ad altra ricerca l'esame
di ciò che diciamo lettura
pratica (la lettura dei segnali, p.e., o ciò che
diciamo lettura notarile, o qualsiasi altro genere di lettura inteso
a garantire l'esercizio di un diritto, o l'opportunità di
un'azione, o la verifica dei dati, ecc.). Su
ciò potremo forse ritornare alla fine del corso, al momento in
cui converrà esaminare il rapporto tra questo tipo di lettura e i
tipi che avremo studiato. Qui subito tenteremo una analisi della
lettura dei testi letterari (e in questo senso parleremo di lettura
letteraria) e, per ragioni interne al procedimento
della ricerca, faremo anche qualche assaggio circa la lettura dei
testi filosofici (che diremo lettura
filosofica). Il
metodo che seguiremo sarà quello neo-fenomenologico, il cui senso
si chiarirà nel corso stesso della ricerca. Cominciamo
dall'analisi dell'esperienza della lettura letteraria. Essa si
rivelerà assai più complessa di quello che appaia a chi l'affonti
[a] secondo le prospettive ingenue del realismo o
dell'idealismo, o da qualsiasi altra prospettiva di ontologia
dogmatica; o anche a chi [b] viva la lettura come una scelta
particolare secondo una decisione univoca. Per
dare esempi percepibili, ci si riferisce [a] a chi crede alla
lettura come un modo di affrontare la letteratura con un rigido
criterio di distinzione filosofica tra poesia
e non poesia; [b] a
chi si giova di un criterio definitivo e univoco di lettura
critica, cioè (come è nell'uso di certi poeti e scrittori) un
leggere secondo una ideologia letteraria particolare, quale
l'ideologia dello stile,
o quella della poesia pura. II. Lettura diretta dell'Infinito. Una
corretta analisi neo-fenomenologica ha inizio con un atto globale
e diretto di esperienza specifica; nel nostro caso non si muoverà
da una idea di
lettura, ma da un atto
di lettura. Comincerò
con la lettura di un testo familiare a tutti anche se non facile,
con la lettura dell'Infinito
di Leopardi. Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare. Vedremo
come il testo risponda diversamente a diverse letture; come queste
diverse letture corrispondano a diversi tipi di approccio; e come
questi tipi di approccio si coordinino tra di loro. III. Il tema ricorrente Si
è detto che un discorso sulla fenomenologia
della lettura ha inizio con un atto di lettura. Abbiamo
fatto questo primo passo. Abbiamo letto un testo, un testo
leopardiano tra i più alti e segreti, anche tra i più noti, un
testo poi che per la sua brevità è più disponibile per
successivi esami globali. E l'ho scelto anche per un altro
motivo: esso non è un testo lontano, che non riguardi il discorso
della recente poesia e letteratura. Su di esso i critici e i poeti
contemporanei si sono a lungo soffermati, di esso anzi si può
dire che si sono nutriti. Di esso sono state fatte molte letture,
diverse tra loro, e per diversi motivi significative, importanti,
rivelatrici. L'Infinito
sarà, sotto un certo profilo, e per quanto possibile, una sorta
di tema ricorrente, il Leitmotiv
di tutto il corso, il soggetto continuamente attivo e disponibile
della nostra ricerca, un esempio vivo della diversa capacità di
un testo a rispondere a sollecitazioni diversamente intenzionate,
e non si tratta qui della ormai ovvia e generica affermazione
della variabile vitalità espressiva di un testo. In realtà, il
proposito è quello di tentare, tenendo conto delle varie letture
che dell'Infinito
sono state fatte, o meglio tenendo conto delle sollecitazioni che
da questo fatto son promosse, di tentare il rilievo dei vari tipi
di lettura, di tentare una "sistematica" (aperta) della
"lettura". IV. Primo approccio all'idea di lettura Rileggiamo,
dunque, l'Infinito
di Leopardi, proprio col proposito di giustificare le varie
lettura che ne sono state fatte, e per esplicitare con operazioni
successive e metodiche i diversi aspetti, le diverse figure della
lettura: Sempre caro mi fu quest'ermo colle ........... e il naufragar m'è dolce in questo mare. Ecco.
Tenendo presente il testo, facciamo - in limine - un
tentativo. Cerchiamo di raggiungere - rispetto al testo - una
condizione pura di lettura, cerchiamo di leggere questo testo
liberamente, direttamente, immediatamente fuori dai contesti in
cui esso si colloca, fuori dai diversi criteri e metodi che volta
a volta sono stati usati nel leggerlo, e fuori da ogni reale
alternativa di gusto. La purezza che cerchiamo non è la purezza
"edenica", e neppure un apriori
ideale, o un modello; è solo il rilievo di un principio
elementare di funzionamento e un principio ipotetico, che dovrà
trovar conferma. Esso per altro implica alcune operazioni
preliminari di rifiuto. Così, leggiamo il testo come
se non sapessimo chi ne fu l'autore, e quindi quali
fossero le sue idee sulla poesia, sulla parola-termine
e sulla parola poetica,
vaghissima e poeticissima ecc. ecc., e quali varianti sian state
tentate per una elaborazione meditata; leggiamolo come
se non sapessimo quando
l'idillio fu scritto (e fu nel settembre 1819, in un momento
particolare molto doloroso della vita di Leopardi...), come
se non sapessimo nulla di arte letteraria, di retorica,
di poetica, di metrica, e nulla del significato della tematica
dell'Infinito nella poesia moderna; e dimentichiamo per un
momento quel che hanno scritto critici e letterati e filosofi...
Col leggere l'Infinito
in questo modo ci proponiamo, si è detto, il ritrovamento di
quella condizione elementare di funzionamento della lettura che ci
consentirà, poi, posti alcuni limiti e stabilito il "campo"
della ricerca, di ricostruirne sistematicamente tutta l'interna
problematica. È un accorgimento di metodo che, come si vedrà, se
consente alcuni rilievi strutturali fondamentali, indica anche una
condizione entro certi limiti niente affatto irreale. Possiamo di
fatto trovarci in una condizione così nuda e così libera, io
penso, se ricordiamo certi testi dei popoli primitivi, o canti
popolari... Ma prima di tutto era necessario stabilire il campo su
cui iniziare il discorso (e non solo la lettura in ogni caso ha
una sorta di energia particolarissima, attiva: La lettura per l'arte dello scrivere è come
l'esperienza per l'arte di vivere nel mondo, e di conoscer gli
uomini e le cose. Distendete e applicate questa osservazione
specialmente a quel che è avvenuto a voi stesso nello studio
della lingua e dello stile, e vedrete che la lettura ha prodotto
in voi lo stesso effetto dell'esperienza rispetto al mondo. È
una osservazione di Leopardi nello Zibaldone, 20 agosto 1820, e
riguarda l'atto del leggere, direttamente. Ma, aggiungerei,
anche il discorso sulla lettura ha una sua forza che ci trascina,
che promuove...). V. La lettura dell'Infinito. Se
leggiamo l'Infinito
secondo gli accorgimenti di metodo che abbiamo suggerito, noi ci
troviamo prima di tutto davanti ad un insieme
coordinato di parole intese a significare certe idee, e
questo insieme diremo testo.
Esso è ciò con cui noi abbiamo il solo contatto diretto, da cui
solo possiamo trarre notizie, che solo possiamo analizzare. Ecco,
se ci addentriamo un poco nel testo, osserviamo che vi è
presentato un io che parla,
chiunque esso sia, che vuole comunicare qualche cosa a qualcuno,
chiunque esso sia, che si
suppone stia ascoltando. Se, poi, con la parola messaggio,
al di fuori di ogni implicazione mistica o metafisica, indichiamo,
qualunque sia il suo contenuto particolare, ciò
che vuole essere comunicato, allora avremo un testo in cui colui che
parla vuol comunicare un messaggio
a colui che ascolta. Sembra che a questo punto si sia
trovata la condizione funzionale ed elementare della lettura. Ma
c'è ancora, invece, qualche passo da fare. Colui
che parla e colui
che ascolta non sono ancora l'autore
e il lettore. A questo punto, occorre tornare a considerare il testo.
Se il testo sia inteso, come va inteso, per la traduzione
e organizzazione in parole scritte del messaggio, l'autore
sarà colui che ha provveduto a
fare questa traduzione e che ha gli strumenti per farlo, il
lettore sarà, invece, colui
che è disposto ad interpretare il messaggio attraverso la
decifrazione delle parole scritte. Nel caso dell'Infinito,
il testo suggerisce chiaramente l'identità tra "colui che
parla" e l'autore, o almeno questo abbiamo il diritto di
pensare. Il lettore, invece, è il personaggio ipotetico a cui è
indirizzato il messaggio, e che lo interpreterà liberamente. I
rilievi che abbiamo fatto ci consentono di isolare quattro
elementi costitutivi fondamentali: il testo,
il messaggio, l'autore,
il lettore. L'autore elabora un messaggio che si fa testo
per esser comunicato ad un lettore.
Ma che dice il messaggio, nel caso dell'Infinito? Se
ne tentiamo una pura parafrasi, troveremo che pare veramente che
l'autore voglia qui comunicare a chi legge un suo stato: forse,
una condizione di angoscia distesa in un momento intenso di calma,
di accettazione? L'autore che a questo punto non possiamo
ancora, in nessuno dei sensi possibili, dire poeta comunica un suo
stato, questo stato trova i suoi equivalenti espressivi scritti, e
ci prende, e ne siamo coinvolti, e il coinvolgimento si determina
sul piano diretto dell'emozione. Vogliamo considerare questa
prima maniera di lettura, lettura
emotiva? (Comunque
sia, devo fermarmi, a questo punto, su un avvertimento molto
rigoroso: nessuno pensi che, in questa parte del nostro discorso,
si sia inteso proporre una lettura o un modo nuovo di lettura
dell'Infinito,
come opera poetica, o una lettura critica in uno dei tanti sensi
in cui una lettura siffatta può essere condotta... Siamo ben
lontani da tutto ciò. Il limite di questa prima parte della
nostra analisi dovrebbe esser ben chiaro. Seguendo una precisa
ipotesi metodologica, abbiamo tentato solo
dei rilievi utili a chiarire i confini di un campo particolare che
diciamo "lettura". E in questo esame avremo potuto servirci
anche di altri testi: L'Art
poétique di Boileau, o la Prose
di Mallarmé... Stabilito il "campo" della indagine, ad una
seconda parte, ad un secondo momento dell'analisi più attenta
al rilievo di altri connotati e di altre componenti, la lettura
rivelerà la complessità delle sue forme. Anche su questo punto
occorre insistere: finora non si è ancora parlato di poesia, né
di critica...). \ I. Il metodo. L'assuefazione formatrice Abbiamo
parlato di fenomenologia della
lettura, ed abbiamo cominciato la nostra analisi con un
atto di lettura. A questo punto, gioveranno alcune considerazioni
preliminari. Fenomenologia
della lettura... Ma
che cosa si intende per [a] fenomenologia,
[b] per lettura, e,
infine, che cosa ci si attende da [c] un'analisi
fenomenologica della lettura? Non
è lecito, secondo corretti criteri di metodo, rispondere subito
in modo definitivo a queste domande. Potremo dar qualche
suggerimento, che s'interpreterà poi con i successivi
procedimenti della ricerca chiarendosi sempre meglio. Quanto alla
[a] fenomenologia,
nella particolare accezione neo-fenomenologica in cui la
pronunciamo, essa è un metodo
di comprensione, che muove inizialmente da una critica
alle riduzioni di comprensione proprie delle procedure
aprioristiche (proprie dell'idealismo e del
neo-idealismo) e del dogmatismo
scientista di altre procedure (positivismo e
neo-positivismo). Non accetta di istituirsi come un Metodo
Definitivo; anzi essa sa che deve farsi sempre diversa secondo i
campi che esplora. Non ha per fine il sistema
(chiuso), ma la sistematicità
(aperta), e sa di trovare solo leggi non universali, anzi
ipotetiche la cui resistenza è condizionata dalla loro
comprensività. Quanto a [b] noi sappiamo già, per le analisi
proposte nella prima parte di questa Ricerca,
come la nozione di lettura
si articoli in una problematica assai ricca e complessa che tocca
le nozioni di testo,
messaggio, autore,
e che dà risalto particolare alle sue relazioni con queste
nozioni. [c]
La fenomenologia della lettura
sarà il ritrovamento del metodo più adatto per la comprensione
delle strutture che costituiscono, per così dire, l'ossatura
del fenomeno della lettura nelle sue varie manifestazioni, nella
realtà della sua viva esperienza; e per ciò abbiamo cominciato
la ricerca con un atto
di lettura, non da una idea
di lettura, e, in questo senso, non dal sapere ciò che la lettura
è, ma come opera. Per questa via, mentre, da un lato, si tende a
garantire al lettore la massima libertà di decisione nelle sue
scelte, sembra che sia anche possibile giustificare teoricamente
un fatto la cui costatazione mette in imbarazzo i dogmatici, e li
trova impreparati, incomprensivi, e pronti alle più resolute
operazioni di riduzione o di condanna. Dico, il fatto che esistono
contemporaneamente diversi procedimenti di lettura, secondo
diverse intuizioni e orientamenti, che, anzi, per queste diverse
letture di uno stesso testo (l'Infinito,
appunto, se vogliamo) rivela per diverse suggestioni, intenzioni,
e inquietudini inattese possibilità di significati, ecc. ecc. Possiamo
dare solo alcune linee generalissime di prudenza; il metodo, in
realtà, va riscoperto volta per volta secondo i suggerimenti che
nascono dal rapporto tra il ricercatore e il campo. A questo
punto, non vi è alcun motivo di meraviglia, se ci richiamiamo
all'idea di assuefazione
e di assuefazione formatrice,
anzi. Di fatto, rispetto ad ogni nuovo campo o oggetto di studio,
occorre costruirsi un metodo calzante, adatto, conveniente. La
improvvisazione è impossibile, improduttiva, e negativa. Occorre,
perciò, una pratica continua, un esercizio in cui gli strumenti
vengano tenuti sempre pronti e appuntiti per un uso fertile quanto
corretto. Solo un continuo esercizio della responsabilità critica
fa il buon fenomenologo; solo la assuefazione
alle procedure di ricerca e alla continua analisi forma il metodologo che corregge sempre i suoi strumenti in
rapporto all'indole e alle variazioni del fenomeno che studia.
È vero: ogni teorizzazione della lettura che prescinda da precise
analisi fenomenologiche si presenta come una imposizione dogmatica
e autoritaria; allo stesso modo non manca di rilevare la sua
prepotenza dogmatica anche ogni riflessione aprioristica e
irrelata che pretenda risolvere il problema. Con la sua
attenzione, con il suo rispetto per la vivente esperienza, da un
lato, e la sua legalità, dall'altro, la metodologia
fenomenologica sembra disposta a non cadere in questi inganni.
Essa, alla fine, propone una idea di sistematica "aperta" e
comprensiva, in cui il fenomeno può essere colto nella varietà e
molteplicità delle sue manifestazioni, e nell'imprevedibilità
delle sue variazioni e dei suoi svolgimenti. Il mondo della
lettura è particolarmente ricco, vario, e pronto ad una continua
promozione intellettuale, ma è anche particolarmente sfuggente,
pronto a ingannare la mano di chi vuole afferrarlo, e
imprevedibile. Quale
sarà il metodo conveniente per una fertile fenomenologia della
lettura? Al di là delle linee generalissime che abbiamo
suggerito, e considerate le variazioni di itinerario che la
ricerca, in se stessa sviluppandosi, da se stessa indica, solo
alla fine delle analisi, giunti alle conclusioni, potremo rilevare
come il metodo abbia effettivamente operato. II. Nozione (lessicale) di lettura. Da
quanto si è detto fin qui, sembra chiaro che, al momento in cui
ci siam proposti di procedere correttamente all'analisi
dell'idea di lettura, si sono presentate, subito, in
limine, alcune difficoltà. [A] Dobbiamo muoverci da
un'idea prestabilita, a
priori, già definita di lettura, oppure [B] dobbiamo
arguire che la definizione è proprio ciò che stiamo cercando,
come il risultato non prestabilito di una ricerca libera?
L'inclinazione di metodo della nuova fenomenologia critica è, a
questo punto della ricerca, ormai chiara. Essa rifiuta ogni
definizione a priori,
come riduttiva, dogmatica e assolutistica. Intanto, rileggiamo un
testo non recente, un testo per altro ancora chiaro e attivo come
quello del Burke. Dice, dunque, a questo proposito, il Burke: Poiché, quando diamo una definizione, sembra che
corriamo il rischio di circoscrivere
la natura entro i limiti delle nostre nozioni, che
spesso assumiamo a caso, o abbracciamo in piena fiducia, o ci
formiamo traendola da una considerazione limitata e parziale
dell'oggetto che ci sta innanzi, anziché estendere le nostre
idee a comprendere tutto ciò che la natura abbraccia secondo la
sua legge di associazione. Siamo limitati nella nostra ricerca
dalle severe leggi alle quali ci siamo sottomessi. Una definizione
può essere esattissima, eppure esprimere solo approssimativamente
la natura della cosa definita; ma, a meno che il valore di una
definizione sia quello che si propone di avere, sembra
nell'ordine delle
cose che segua piuttosto che precedere la ricerca, della quale
anzi deve essere considerata come un risultato. La
definizione non precede la ricerca, anzi la segue, anzi appare
come il risultato finale
della ricerca stessa: ecco ciò che Burke dice nel Saggio
sull'origine del
Bello e del Sublime (A
Philosophical Inquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime
and Beautiful, pubblicato nel 1756 in piena situazione
empiristica). Peraltro,
se al concetto di esperienza, proprio dell'empirismo,
sostituiamo quello fenomenologico,
il discorso corre tutto anche per noi, è anzi uno dei concetti
costitutivi del nostro metodo. In realtà, una nuova maniera
critica di interpretare la fenomenologia critica muove alla
nozione di definizione a priori
alcune obiezioni, e cioè: [1] le nozioni a
priori pregiudicano i risultati che si stanno cercando,
in quanto stabiliscono definitivamente l'intenzione della
ricerca prima che la ricerca sia fatta; [2] riducono
l'ambito di esperienza vivente e reale della nozione e il
rilievo delle sue relazioni; [3] dogmatizzano
il significato della nozione definendone un modello immutabile;
[4] infine, si risolvono
in un sistema logico-verbale di significati e di valori senza
connessione con l'esperienza vivente, tale anzi che basta un
solo caso di esperienza contraria o in posizione critica per
smentirli o problematizzarli. Diamo un esempio: l'affermazione
gentiliana della identità di arte
e sentimento nel
sistema dei significati propri della filosofia
dell'arte,
pubblicata nel 1931, non nasce in nessun modo da rilievi
esercitati sul corpo vivo e mobile dell'arte, ma da puri
processi logici interni alla particolare interpretazione del
sistema idealistico e, pertanto, [1] prestabilisce
una interpretazione che non riesce a comprendere i movimenti
imprevedibili dell'arte. Sembra veramente che l'arte sfugga da
tutte le parti a sistemazioni definitive, rigide, prepotenti,
sfugga all'imposizione di modelli validi una volta per sempre.
La teoria gentiliana, non tenendo conto, tra l'altro, degli
apporti intellettuali e delle operazioni riflessive interne alla
realtà stessa dell'arte nel suo vivere (si pensi alla
svalutazione delle poetiche)
nel paragonare sempre l'esperienza al modello, [2] riduce
la ricchezza, la varietà, la molteplicità della realtà vissuta
e vivente dell'arte; inoltre, irrigidendo una volta per sempre
in una nozione o definizione essenzialistica
(l'arte è
sentimento), chiudendo la ricerca con l'ipostasi di un modello
definitivo, [3] dogmatizza
il campo, mentre, procedendo al di fuori delle variazioni e della
mobilità della esperienza, non solo perde ogni contatto con
l'arte che vive e si fa, ma [4] dà esiti
puramente logico-verbali. D'altro
canto, il concetto di esperienza, l'esperienza come un dato
o un fatto, quale
appare nel positivismo, si rende - anche se con segno diverso
- altrettanto riduttivo, dogmatico, parziale, estraneo
all'esperienza come evento,
come esperienza vivente, come variabile attività vivente nella
reciproca continua interazione dell'io
e del mondo; solo in
questo caso sembra si possa sfuggire ai pericoli che abbiamo
indicato. Per
ritornare alla nozione di lettura,
all'analisi che ci proponiamo di farne, la domanda resta
preliminarmente dunque ancora: di
che cosa parliamo? Sembra
che non abbiamo definizioni da cui muovere, che non abbiamo dati
fermi su cui operare. A questo punto, per non prestabilire i
risultati giova la nozione di "campo". Intendiamo
per "campo" un insieme articolato di relazioni viventi che si
presentano a noi con coerenza e unità come un ordine di
condizioni che rendono possibile un evento. Così,
abbiamo cominciato a definire il "campo" che qui ci interessa,
della lettura, con l'analisi di un atto
di lettura, con la lettura appunto dell'Infinito,
traendone un insieme di relazioni tra loro interagenti, e tali da
condizionare ogni operazione particolare di lettura e sono le
molteplici possibilità di rapporto tra [1] testo,
[2] messaggio, [3] autore, [4] lettore.
Vedremo più innanzi come esse faccian, tra loro, sistema, e come
questo sistema appaia mobile, policentrico... Ma
qui occorre integrare la analisi per la delimitazione del campo. E
a questo punto va osservato che vi è un'altra via per
cominciare una analisi della nozione di lettura, vi è, per
esempio, l'analisi della nozione d'uso, della definizione lessicale.
Prendiamo il dizionario Garzanti alla voce "leggere": 1
- riconoscere dal segno della scrittura le parole, intenderne il
significato; 2 - interpretare il passo di un testo, darne una
data versione; 3 - esporre e commentare un autore per un pubblico; 4 - tenere lezione in una cattedra universitaria. Ecco:
alle nozioni [1 - 4] che abbiamo già visto costituire il campo
se ne aggiunge un'altra [5]: l'interpretazione.
Ed è dall'esame di queste cinque nozioni nel rilievo delle loro
relazioni che si pone per noi il problema della lettura e, nello
stesso tempo, si attua (connotato essenziale del nostro metodo)
liberamente, nuovamente e con diverso segno la lezione del Burke
intesa "a comprendere tutto ciò che la natura abbraccia" nel
rilievo di principi che sono il risultato, che seguono piuttosto
che prestabilire i significati. III - Considerazioni generali e sviluppo della ricerca Chiarito
quali siano le strutture che costituiscono le condizioni capaci di
rendere possibili diversi e particolari eventi
di lettura, e cioè
[1] testo, [2] messaggio, [3] autore,
[4] lettore, [5] interpretazione,
si apre la ricchissima problematica che costituisce il complesso
sistema di relazioni in cui vive ciascuna di queste nozioni per sé
(per esempio, il testo) e nelle relazioni con altre (per esempio, il testo
in rapporto al lettore;
o il lettore in rapporto alla interpretazione,
ecc.). Studieremo questi rapporti in vari piani, in cui essi
possono venir studiati: dal piano
prammatico (nelle articolatissime couches,
negli strati diversi dell'orizzonte
delle scelte) al piano
teorico (nell'impegno totale dell'orizzonte di comprensione). Noi
cercheremo di vedere come si articolano le strutture della nozione
di lettura in rapporto al modo di leggere dei poeti, del
critico-scrittore, del critico-saggista, del critico-scienziato, e
di quei lettori e critici che sentono il bisogno di un fondamento
filosofico per sentirsi garantiti nel giudizio letterario. Non vi
è una sola maniera di lettura; vi sono (e ne abbiamo esperienza)
molte maniere di lettura. Nessuna coerente maniera di lettura è
più valida di un'altra coerente maniera; e, ovviamente, poi,
nessuna maniera di lettura può pretendere di presentarsi come
Lettura Assoluta e Definitiva. Certo (nell'ambito di uno stesso
sistema di lettura) ci sono letture più efficaci, più penetranti
e più dotte o informate, o meno, secondo i valori proposti dal
sistema. Ciò ha significato sul piano delle scelte, e non sul
piano di comprensione in cui stiamo parlando. Così,
per esempio, i critici moderni, con la nuova filologia e i nuovi
criteri di critica testuale, leggeranno Virgilio in modo diverso
da quello in cui lo leggeva Dante. Non
per questo noi siamo superiori a Dante. Di fatto, la
lettura di Virgilio che Dante dà è una lettura tipica di un
periodo storico. A Dante e al suo tempo interessavano altre
cose da quelle che
interessano a noi. Siamo, qui, nell'ordine delle scelte; che è
anche l'ordine in cui si dispiegano i diversi sistemi di valore,
di cui si servono lettori diversi in secoli diversi. Il piano di
comprensione interviene a questo punto: a un punto in cui i valori
sono già stabiliti, e si propone anche la giustificazione della
varietà dei valori nella cultura e anche la diversità delle
letture valorizzanti. Tutte
le maniere di lettura (di cui ci sforzeremo di rilevare alcuni tipi
ricorrenti secondo intenzioni che si ripetono) messe in relazione
tra loro costituiscono la sistematica
della lettura, il corpo organico in cui le varie
accezioni della nozione trovano la loro comprensibilità e
giustificazione. Ci sono molte maniere di lettura, come s'è
detto, ed è, questa, una considerazione che ci libera dai
dogmatismi, dai fantasmi in cui è così facile cadere. La
fermezza delle nostre scelte non ha nulla a che vedere con la
ipotesi metafisica o naturalistica, con la definizione di una
nozione una volta per sempre. Se
la scelta sarà stata fatta convenientemente potrà essere
convenientemente difesa e sostenuta; e, d'altra parte, una
scelta è valida fin che ha senso. Nulla
di più patetico dei lettori "ermetici" che sognano oggi la
loro stagione naturale come un paradiso perduto: ma nulla di più
alieno da una cultura viva. Quanto
alla molteplicità delle maniere di lettura possiamo richiamarci
ad una pagina famosa di Montaigne (e sappiamo quale forza abbia
avuto questo autore del cinquecento francese nella formazione
della mente - della cultura - francese, e poi di quella
europea). Nel
capitolo decimo del secondo libro dei suoi Essais,
Les Livres, Sui
Libri, anche se, come suole, dice di parlare di se stesso,
Montaigne suggerisce l'idea che esistono diverse possibilità e
diversi modi di lettura. Egli era attento all'uomo, al movimento
ondeggiante del suo spirito, e incominciava parlando della propria
esperienza. Ecco qualche cosa che dobbiamo tenere presente. Ma
vogliamo aggiungere ormai che rendersi conto della problematicità
della lettura vuol dire rendersi conto anche della interna
ricchezza dell'uomo, della sua disponibilità, del suo variare.
Studiare per esempio in senso diacronico le variazioni della
lettura dal Medio Evo ad oggi (lettura dantesca di Virgilio, ecc.)
vuol dire anche rendersi conto delle diverse esperienze della
civiltà sotto un profilo particolare di esperienza. Pensiamo al
diverso modo con cui si leggeva presso gli Illuministi e presso i
Romantici, o alle grandi variazioni che ha subito la lettura di
Platone dai Santi Padri ad oggi. Vi è una dimensione storica
della lettura, e dobbiamo tenerne conto. Di
una Lettura Assoluta (come del Libro Assoluto) possono lecitamente
parlare certi poeti; di una lettura progressiva possono parlare
coloro che vedono il pensiero umano unificato da un processo verso
il meglio che trova nel presente la propria celebrazione. Positivisti
e idealisti hanno avuto egualmente (e diversamente) questa
illusione. Noi ci rendiamo conto che ci sono letture diverse,
che rispondono a bisogni diversi,
a sollecitazioni diverse
di mutati contesti. Dire che la lettura che facciamo noi, ora, supera
la lettura precedente, è una estensione arbitraria di un fatto
reale: che la diversa lettura che facciamo oggi (di Omero, di
Dante, e di Virgilio...) rispetto a quella che degli stessi autori
si faceva nel XV secolo o nel Barocco, o... muove da mutate
condizioni della cultura e ad esse vuol rispondere con metodi e
procedimenti nuovi. Non è assolutamente il caso né di esaltarsi
né di deprimersi per l'uso di certe macchine nel nostro lavoro. Esse
hanno solo un merito: abbreviare i tempi di ricerche
laboriosissime, consentendo maggior disponibilità per la parte più
inventiva e libera della lettura. [.] *
Il presente saggio riproduce gli appunti di alcune lezioni del
corso monografico tenuto da Anceschi nell'Anno Accademico
1970-71.
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